Venezuela: Forze Armate, invito alla prudenza e al rispetto

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Muro contro muro. Lo scontro, oramai, è frontale; due treni in corsa prossimi alla collisione. E nessuna voglia, pare, di evitarlo. Accuse, insinuazioni, rimproveri. Sono il pane quotidiano nella polemica tra Governo e Parlamento; polemica aperta già la sera in cui il Consiglio Nazionale Elettorale rendeva noti i risultati delle elezioni Parlamentari. Conseguenze? L’ingovernabilità del Paese, che, se si andasse avanti così, sarebbe sempre più vicino al caos.

Era evidente che con la svolta impressa dalle urne non si sarebbero immediatamente risolti i problemi stringenti del Paese. Anzi, è subito spuntato all’orizzonte lo spettro del “muro contro muro”. Ne erano riprova le parole del capo dello Stato, Nicolás Maduro, dopo i risultati del 6 dicembre.

Il Presidente ha riconosciuto la sconfitta, ma lungi dall’autocritica, ha attribuito i risultati a una presunta “guerra economica”, leit motive della campagna elettorale trasformata involontariamente dallo stesso capo dello Stato in un referendum sulla sua gestione, così come alla “campagna sporca” condotta dai mass-media.

Eppure, fatta eccezione per pochissime realtà non allineate con il governo e ormai allo stremo, giornali, radio e televisioni, l’intero microcosmo della comunicazione in Venezuela, è controllato direttamente o indirettamente da chi, fino a ieri, aveva il controllo totale del potere politico.

La polemica sui ritratti del Libertador (fatti recentemente con una nuova immagine di Bolívar estratta da una ricerca forense e con l’aiuto della tecnologia 3D) e del presidente Chávez, che il nuovo Presidente dell’Assemblea ha immediatamente ordinato di togliere, la dice lunga sullo scontro politico che il Paese vivrà nei prossimi mesi, qualora non dovesse prevalere il buon senso.

E’ vero che il Parlamento, cuore della democrazia di un paese, non può ospitare immagini del leader di una parzialità politica. Lo è anche che gli antichi ritratti di Simón Bolívar, da sempre custoditi nelle sale del Parlamento, hanno non solo un valore simbolico ma anche, anzi soprattutto, artistico.

Quindi giustificazioni per “esiliare” l’immagine “nuova” del Libertador, e quella dell’estinto presidente Chávez ve ne erano. Ingiustificabili, invece, le espressioni impiegate dal presidente del Parlamento, Henry Ramos Allup. La forma, in politica, è sostanza, soprattutto in un momento tanto delicato come quello che sta vivendo in questi momenti il Venezuela.

La reazione del presidente Maduro e dei parlamentari del “Bloque de la Patria” è stata altrettanto eccessiva. E frutto del culto alla personalità che permea il “Macondo” latinoamericano. Ha ragione il curatore del Dipartimento d’Arte Latinoamericana “Estrellita Bronsky” del Moma di New York, Luis Pèrez Orama, quando sottolinea, in intervista a ViceVersa Magazine, che in Venezuela si “è costruita una democrazia moderna ma non una modernità democratica perché questa è stata costantemente autoritaria”.

L’intellettuale, ora residente negli Stati Uniti, sostiene anche che la dialettica politica in Venezuela è sempre stata impregnata della simbologia epica guerresca – leggasi eroismo e militarismo -. Il paese, in oltre mezzo secolo di democrazia, non è riuscito a scrollarsi di dosso il fantasma dei “Padri della Patria”, dell’immagine costruita ad arte dai vari dittatori) e dalla democrazia stessa e, negli ultimi vent’anni, divenuta il cavallo di battaglia, lo strumento con il quale rafforzare un nazionalismo anacronistico. La simbologia epica guerresca, oggi, si è trasformata in culto alla personalità dell’estinto presidente Chávez, trasformato nell’immortale “Comandante Supremo”.

Luis Pérez Orama sostiene inoltre con ragione che nonostante siano trascorse 6 decadi da quando i militari furono costretti a tornare alle caserme, la transizione dai leader dell’emancipazione agli esponenti della cultura – leggasi, Andrés Bello, Rómulo Gallegos, Arturo Uslar Pietri solo per nominarne alcuni – non è mai avvenuta. Anzi, complice un vasto settore della comunità venezuelana, e la nostra Collettività non ne è esclusa, si è creata una corrente d’opinione che valorizza la dittatura, costruttrice di “grandi opere” e sottovaluta e sminuisce quanto creato dalla democrazia.

Ad esempio, si esalta l’ammodernamento accelerato e caotico avvenuto durante la dittatura di Pérez Jiménez, e si dimentica che la stragrande maggioranza di quelle realizzazioni – in primis l’Università Centrale del Venezuela – furono progetti di Rómulo Gallegos; progetti creati con criteri architettonici d’avanguardia per l’epoca che l’insigne scrittore non poté realizzare a causa del Golpe del 1948, realizzato appena tre mesi dopo il suo insediamento.

Il Venezuela si dibatte tra due poteri in forte contrasto tra loro: l’Esecutivo e il Legislativo. Oggi il presidente della Repubblica dovrebbe presentare al Parlamento il “pacchetto di provvedimenti” orientati a riscattare l’economia dalla crisi attuale. E, comunque, entro i primi 10 giorni dall’insediamento dell’Assemblea Nazionale, dovrà presentare il bilancio della sua gestione per l’anno 2015.

Insomma, dovrà rendere conto al Parlamento, come si fa in tutte le democrazie. Certo, potrebbe anche rifiutarsi, adducendo che l’An, nel permettere l’insediamento dei tre deputati sospesi dalla Corte, si è posta fuori legge. Potrebbe anche incaricare un suo ministro di consegnare la “Memoria y Cuenta” alla nuova Assemblea. Ma ciò sarebbe un ulteriore elemento di screzio e di polemica.

Il rispetto dell’istituzionalità e la necessità di affrontare insieme la crisi politica, economica e sociale è evidente. Le conseguenze, qualora le forze politiche non riuscissero a trovare un ambito di convivenza nella diversità, un terreno per il confronto e la dialettica necessaria, potrebbero essere devastanti. Hernán Escarrá ha proposto, qualche settimana fa, un patto tra tutti i settori del Paese, comprese le Forze Armate, il clero e l’imprenditorialità privata; un patto che permetta di superare la crisi.

Le Forze Armate, da sempre ago della bilancia in America Latina, hanno esortato alla prudenza e al buon senso tutte le forze politiche. Lo hanno fatto nelle ore seguenti i risultati elettorali, obbligando indirettamente il Governo a riconoscere il trionfo dell’opposizione; il giorno dopo “l’esilio forzato” dei ritratti del Libertador e dell’estinto presidente Chávez; e, ora, alla vigilia del “Messaggio alla Nazione” del presidente Maduro.

Il ministro della Difesa, dopo aver sottolineato una volta ancora che i militari difendono il proprio onore, “la patria e la democrazia”, ha ricordato che quando si è “attori politici, quando si occupano incarichi di alto livello nell’amministrazione pubblica, si è chiamati alla prudenza e al rispetto”. Un monito quindi quello delle Forze Armate che va letto tra le righe. Vale la pena ricordare, a questo punto, il vecchio e saggio proverbio popolare: “A buon intenditor, poche parole”.

Sebbene la possibilità di dialogo tra Governo e Parlamento sembrerebbe essere tramontata ancora prima di essere iniziata, il buon senso dovrebbe permettere di aprire una finestra al dialogo. Ed evitare il “muro contro muro” che provocherebbe il caos e darebbe alle frange radicali dell’uno e dell’altro bando argomenti validi per invocare l’intervento risolutore dell’istituzione militare.

(Mauro Bafile/Voce)

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