Renzi: vincerò la battaglia in Ue, sempre più Paesi con noi

Italy's Prime Minister Matteo Renzi (L) with European Commission President, Jean Claude Juncker, at the European heads of states and government summit in Brussels, Belgium, 19 March 2015. ANSA/TIBERIO BARCHIELLI/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI
Italy's Prime Minister Matteo Renzi (L) with European Commission President, Jean Claude Juncker, at the European heads of states and government summit in Brussels, Belgium, 19 March 2015. ANSA/TIBERIO BARCHIELLI/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI
Italy’s Prime Minister Matteo Renzi (L) with European Commission President, Jean Claude Juncker, at the European heads of states and government summit in Brussels, Belgium, 19 March 2015.
ANSA/TIBERIO BARCHIELLI/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI

ROMA. – “L’Italia questa battaglia la vincerà”. La convinzione con cui Matteo Renzi a dicembre ha lanciato la sua offensiva per la flessibilità e per avere un trattamento non più penalizzante in Ue, non viene scalfita dal duro attacco che il presidente della Commissione Jean Claude Juncker gli riserva nella conferenza stampa di inizio anno.

Il premier, racconta chi ha avuto modo di parlargli, non si aspettava tanta virulenza. Lo descrivono stupito e irritato per quella che legge come l’ennesimo segnale di “mancanza di rispetto” di Bruxelles verso il nostro Paese. Ma per nulla preoccupato. Anzi, ancor più determinato a portare avanti la sua battaglia nel merito dei singoli dossier. Convinto che il fronte per una “svolta” nella politica europea si vada rafforzando e stia ‘accerchiando’ il partito del rigore. E che è solo questione di tempo perché anche Hollande abbracci la battaglia, ricompattando il fronte socialista su una linea “obamiana”.

Le parole di Juncker irrompono a Palazzo Chigi mentre è in corso la riunione del Consiglio dei ministri. Ci si aspettava un passaggio sull’Italia, nella conferenza stampa di Juncker. Ma non così virulento: “assolutamente incomprensibile, abnorme e irricevibile”, scuotono la testa i renziani. Anche perché il premier era convinto di essere riuscito a tenere il confronto nel merito, sia con il presidente della commissione, che vedrà a febbraio a Roma, sia con Angela Merkel, con la quale dovrebbe incontrarsi in una cena a Berlino a fine gennaio.

“Nessuna polemica. L’Italia chiede semplicemente che ci siano le stesse regole per tutti, dall’energia al surplus commerciale, dall’immigrazione, agli aiuti di stato. Tutto qui”, scriverà in serata lo stesso premier nella sua newsletter.

La richiesta di Pier Carlo Padoan a Bruxelles di coprire con il budget Ue i 3 miliardi di aiuti alla Turchia per l’immigrazione (fortemente promossi da Berlino), rende bene l’idea – spiegano dal governo – di come l’Italia voglia d’ora in poi farsi sentire su ogni singolo dossier, per ottenere quanto gli altri. Per far valere gli interessi dell’Italia dopo anni di “compiti a casa” e “lezioncine” subite dagli euroburocrati, Renzi è convinto di avere tre fattori: le riforme fatte, la forza di essere il primo partito per numero di eurodeputati, “i tanti soldi” che Roma dà a Bruxelles.

In più, “se qualcuno pensa che noi possiamo essere telecomandati da Bruxelles, ha sbagliato premier”, chiarisce Renzi, indotto a replicare dalla durezza dei toni dell’attacco di Juncker. Ma il leader Pd la trincea europea la scava da tempo. Venerdì vedrà gli eurodeputati Dem per serrare le truppe e in mattinata incontra Gianni Pittella, che è capogruppo dei socialisti e democratici al Parlamento europeo, per fare un punto sulle linee di azione.

Lo stesso Pittella aveva già manifestato a Juncker, raccontano, un certo malcontento del gruppo S&D, che si è riunito mercoledì, e che chiede alla commissione un cambio di passo. Del resto che il sostegno del Pd al conservatore Juncker sia legato a un programma, non incondizionato e dunque non scontato, Renzi lo ha detto a più riprese e lo ribadisce in serata: “Juncker è stato eletto sulla base di un accordo politico, che comprendeva flessibilità e investimenti. Noi non abbiamo cambiato idea”.

Quanto alla rivendicazione del presidente della commissione di aver introdotto la flessibilità in Ue, circola tra i parlamentari Pd un discorso del 13 gennaio 2015 in cui è lo stesso Juncker, a Strasburgo, a riconoscere il ruolo determinante dell’Italia. E sempre tra i parlamentari Dem si registra del disappunto per come Federica Mogherini ha trattato la vicenda: mantenendosi imparziale ma “senza spendere neanche una parola in difesa dell’Italia”.

La battaglia, osservano i renziani, è appena iniziata. Il premier resta convinto che Bruxelles non potrà negare all’Italia quello 0,2% in più di flessibilità che il governo si è preso per la sicurezza e la cultura nella legge di stabilità. Ma la partita più difficile si giocherà per i prossimi anni, per ottenere un margine di flessibilità in più nel difficile percorso di avvicinamento al pareggio di bilancio.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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