La Cina acquista il primo carico di greggio “Made in Usa”

Barili di petrolio controllati da un operaio.
Petrolio, strapotere Usa, record produzione.

petrolio

NEW YORK. – Il primo carico di petrolio ‘Made in Usa’ dalla fine del divieto alle esportazioni va alla cinese Unipec, la divisione trading del gigante Sinopec. Un acquisto simbolico ma di grande rilevanza, che apre una nuova rotta per il greggio, mostrando l’evoluzione del rapporto fra Cina e Stati Uniti, le due maggiori economie al mondo, e i nuovi equilibri geopolitici globali in un contesto di crollo dei prezzi del petrolio ai nuovi minimi da 12 anni.

Dopo 40 anni gli Stati Uniti hanno abolito il divieto delle esportazioni di petrolio, aprendo di fatto una nuova era. Il divieto, scattato negli anni 1970 dopo che l’embargo arabo aveva causato uno shock all’economia, è stato abolito lo scorso dicembre. Il via libera all’esportazioni arriva in un momento di tensione sul mercato petrolifero, con i prezzi in caduta libera per la sovrapproduzione a livello globale.

Un mercato inondato di greggio anche per il boom energetico americano: l’ascesa del petrolio shale e del fracking infatti ha reso gli Stati Uniti il maggiore produttore di petrolio e gas al mondo. Gli States nel 2013 hanno prodotto più petrolio di quanto non ne fosse importato per la prima volta dal 1988. Il recente crollo dei prezzi frena però la corsa petrolifera americana, facendo temere una nuova ondata di default nel settore.

Le tecniche dello shale e del fracking sono costose e convenienti solo quando i prezzi del petrolio sono alti. Con il crollo dei prezzi sotto la soglia psicologica dei 30 dollari, produrre greggio non e’ più conveniente. E le aziende energetiche che si erano indebitate durante il boom sono ora in difficoltà con gli analisti che prevedono fallimenti con tensioni anche per i bilanci delle banche americane.

Una misura della ‘crisi’ è BHP Billinton, costretta a 7,2 miliardi di dollari di svalutazioni sui suoi asset shale americani. BHP ha aumentato la sua esposizione al settore petrolifero nel 2012, durante il boom dello petrolifero statunitense, quando ha speso più di 20 miliardi di dollari per acquisizioni nello shale statunitense.

La corsa al petrolio americana ha modificato gli equilibri geopolitici, aprendo una lotta all’interno dell’Opec, il cartello dei paesi produttori, di cui fa parte l’Arabia Saudita, il maggiore alleato americano nel Golfo Persico.

Gli analisti leggono nell’atteggiamento dell’Opec a lasciare i livelli di produzione invariati nonostante il crollo dei prezzi un ostacolo al petrolio americano, costoso da produrre e con costi di trasporti che potrebbero rendere anti economico il trasferimento di petrolio a raffinerie fuori dagli Stati Uniti.

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