L’Iran chiama gli investimenti esteri, Italia è amica

Il ministro degli Esteri Gentiloni e il presidente delfina Rohani.
Il ministro degli Esteri Gentiloni e il presidente delfina Rohani.
Il ministro degli Esteri Gentiloni e il presidente delfina Rohani.

TEHERAN. – Dopo l’annuncio della piena entrata in vigore dell’accordo sul nucleare, per l’Iran è il giorno per celebrare la “storica” vittoria della sua diplomazia, del nuovo “potere” conquistato sul campo in anni di negoziati. Un modello, dice il presidente Hassan Rohani, valido anche per affrontare le questioni aperte nella regione, diffusione del terrorismo dell’Isis inclusa.

Ma è anche il giorno in cui celebrare finalmente l’apertura al mondo della sua economia senza più le pastoie delle sanzioni. E per ricordare, ancora nelle parola del presidente, che anche in Europa vi sono Paesi che gli sono stati sempre amici. Come l’Italia, dice in conferenza stampa rispondendo ad una domanda dell’Ansa, Paese con cui i rapporti sono sempre stati “amichevoli”, e anche in campo economico “non vi sono mai stati ostacoli, tanto più oggi con la caduta delle sanzioni”.

Manca solo una settimana alla partenza di Rohani per l’Italia, prima tappa di quel suo primo viaggio in Europa che in novembre ha dovuto rinviare per i sanguinosi attacchi dell’Isis a Parigi. Il 25 e il 26 Rohani sarà a Roma con una delegazione politica ed economica, e sarà accolto anche in Vaticano, non tralascia lui stesso di ricordare.

Con il governo e l’imprenditoria italiana parlerà di cooperazione economica e investimenti in vari campi, dall’industria alle infrastrutture, dall’energia alla scienza. Perché è soprattutto di investimenti stranieri e di tecnologia che l’Iran del dopo-sanzioni ha bisogno, per ammodernare le sue strutture produttive e dare lavoro ai giovani, spesso molto preparati e qualificati, a cui chiede di contribuire allo sviluppo del Paese.

Anche a loro è implicitamente rivolta la nuova promessa di mantenere tutti i suoi impegni elettorali, anche quelli per maggiori libertà nei vari campi di espressione. L’andare in porto dell’accordo “ha preparato il terreno” per portare avanti il suo “difficile compito”, dice alludendo ai conflitti interni nel Paese, ma “in certe aree dobbiamo essere più veloci”.

Quanto agli investimenti stranieri, l’Iran ne ha bisogno per 30-50 miliardi di dollari l’anno, dice, per sostenere una crescita dell’8%. Richiedono però anche un “un settore privato più attivo”, che il suo governo cercherà di incoraggiare.

Ma oggi è anche il giorno della partenza dall’Iran dei prigionieri irano-americani liberati in un scambio scattato ieri proprio con l’implementazione dell’accordo sul nucleare. Almeno tre di loro – fra cui il corrispondente del Washington Post Jason Rezaian – sono atterrati a Ginevra, il quarto non sarebbe partito (ma tutti potevano farlo se lo desideravano, ha precisato il governo Usa), e un quinto era stato rilasciato ma non nell’ambito dello scambio.

Come Rohani, anche il presidente Obama parla di vittoria della “forza” della diplomazia, ma i suoi toni sono diversi, condizionati dalla decisione di varare proprio oggi le nuove sanzioni contro l’Iran per i missili balistici – a Washington, ma non a Teheran, considerati una violazione dell’accordo. E preferisce mettere l’accento sul pericolo scampato di una possibile bomba atomica iraniana.

Clima di sconfitta invece in Israele, dove amaramente si parla appunto di “vittoria iraniana”. Mentre Rohani non si risparmia una stoccata per il rivale saudita. “Ho sentito qualcuno esprimere rincrescimento per la prossima soluzione dei problemi economici dell’Iran – dice – non sono certo parole da buon musulmano”. Come non lo sono del resto, conclude, le bombe saudite che da mesi devastano il vicino e impoverito Yemen.

(di Luciana Borsatti/ANSA)