Venezuela: il presidente Maduro riconosce la legalità del Parlamento

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Passo a passo, tassello su tassello. Il “puzzle” del nuovo Parlamento comincia a prender forma. Lentamente. Con diplomazia ma con fermezza. Senza bruciare tappe, come vorrebbero le frange più estreme.

Il presidente della Repubblica, Nicolás Maduro, si è recato all’Assemblea Nazionale per presentare il bilancio della sua gestione durante il 2015. Lo ha fatto nonostante le critiche, a volte al limite dell’insulto, rivolte alla Direzione del Potere Legislativo; lo ha fatto consapevole della maggioranza parlamentare, di opposizione, che oggi domina il Congresso.

Giorni prima si era temuto che, su mandato della Corte, il capo dello Stato potesse snobbare il Parlamento e, come atto di sfida, presentare il bilancio in un altro scenario. Chissà, nello stesso palazzo presidenziale. Ma neanche il Tribunale Supremo di Giustizia, forse prevedendo le ripercussioni negative a livello internazionale, ha osato tanto.

E’ vero, la maggioranza parlamentare di opposizione, ha dovuto rinunciare a tre deputati sospesi dalla Corte, a causa di una denuncia di presunte frodi nella loro circoscrizione elettorale; quegli stessi parlamentari che, con un atto di sfida verso il Tribunale Supremo di Giustizia, erano stati accettati dalla nuova Presidenza. Come affermato dal presidente dell’Assemblea Nazionale, “a volte è necessario piegarsi, per ottenere alcune cose”.

E il Parlamento, con la presenza del capo dello Stato, ha ottenuto la “benedizione” – leggasi riconoscimento – del Potere Esecutivo. In un momento di lotta politica radicalizzata, di muro contro muro, non è stata cosa da poco. Lo scontro frontale tra due treni in corsa è stato per il momento scongiurato. O forse solo rimandato?

Il discorso del capo dello Stato non ha offerto nuove sponde alla distensione. Il presidente della Repubblica non ha rinunciato al suo abituale linguaggio litigioso. E ha insistito nell’affermare che coloro che hanno votato per il “Tavolo dell’Unità” hanno commesso un errore che inciderà sul futuro della “rivoluzione”. Ma ha anche sottolineato che il suo governo non farà un passo indietro. E l’ha dimostrato nell’affrontare l’argomento economico.

Il presidente della Repubblica ha dato di nuovo la colpa dei mali del paese alla “guerra economica” e al complotto dei grossi capitali nazionali e internazionali. Nonostante i risultati dei centri di ricerca nazionale, che ci presentano un paese con una povertà dilagante che raggiunge quasi il 75 per cento delle famiglie venezuelane, ha ripetuto che la qualità di vita del venezuelano è migliorata negli ultimi quindici anni.

E sottolineato con enfasi che difenderà tutte le “misiones”, gli ammortizzatori sociali creati dal “chavismo”, molti dei quali, purtroppo, lungi dal raggiungere gli effetti sperati sono diventati fonte di corruzione. In particolare, la “Misiòn Vivienda”.

Ha annunciato l’imminente incremento del prezzo della benzina, argomento del quale si parla ormai da anni ma che il “chavismo” ha sempre posposto per timore di una esplosione sociale. Non un passo indietro. In nessun momento c’è stato il riconoscimento di errori. Tanto meno è stata espressa la volontà di rettificare in quegli aspetti della politica economica che pare evidente ormai debbano essere corretti.

Il presidente Maduro non ha affrontato l’argomento dell’insicurezza. Eppure è questo un tema caro ai venezuelani. L’insicurezza merita un intervento immediato. Stando all’Osservatorio Venezuelano per la violenza, sono state 27mila 875 le morti violente nel Paese. Un numero tale da fare assurgere il paese tra le prime posizioni nella Top-Ten di quelli più pericolosi al mondo, nonostante le tante guerre in altri continenti.

La presentazione della “Memoria y Cuenta” del capo dello Stato, trasmessa a rete unificata, ha permesso al presidente dell’Assemblea Nazionale, Henry Ramos Allup, di dirigersi al paese. Un’occasione unica per illustrare ai venezuelani i punti di vista della maggioranza parlamentare. E per invitare al dialogo.

Ramos Allup ha negato l’esistenza di una guerra economica nel Paese. E ha sottolineato che l’attuale situazione di crisi nel Paese, le lunghe file di consumatori alle porte dei supermarket e la mancanza di generi alimentari e medicine sono solo il risultato di errori in politica economica; errori in nessun momento corretti.

Il presidente dell’An ha parlato di corruzione, ma ha avuto la sensibilità di non toccare il tema dei familiari del presidente accusati negli Usa di traffico di droga; della necessità di consegnare il titolo di proprietà ai venezuelani beneficiati dalla “Misiòn Vivienda”; e della volontà del Parlamento di legislare.

E’ stato un lungo discorso nel quale, senza snocciolare cifre noiose, il presidente dell’An passava in rassegna tutti, o quasi, i problemi del paese. Quindi, assicurava il presidente della Repubblica, che il suo bilancio di un anno di gestione sarebbe stato attentamente analizzato.

Quello del Parlamento potrà essere solo un giudizio politico ma, in considerazione dei tempi che corrono, avrà senz’altro importanti ripercussioni.

Giorni prima, il ministro dell’Economia, Luis Salas, aveva consegnato i “decreti dell’Emergenza economica”. Anche in questo caso, nulla di nuovo. È stata ribadita la volontà di seguire il cammino già tracciato senza correggere i vecchi errori. Si parla di controlli e di provvedimenti per far fronte alla presunta “guerra economica” in uno scenario in cui il prezzo del greggio venezuelano si avvicina pericolosamente alla soglia del costo di produzione che gli esperti stimano attorno ai 20 dollari il barile.

Il “decreto d’emergenza”, come altri provvedimenti presi in precedenza dal Governo del presidente Maduro, non rassicurano il produttore privato. Al contrario, ravvivano la fiamma del timore. E se non vi è un clima di fiducia nel Paese, per quanto ricco esso possa essere, l’imprenditorialità privata e quella straniera si astengono dall’investire.

Per uscire dalla recessione, che organismi internazionali stimano in oltre il 7 per cento, per frenare l’inflazione che il Fondo Monetario Internazionale calcola, nel 2016 attorno al 500 per cento, e per frenare la speculazione vi è bisogno di un governo che sappia rettificare e di un clima di fiducia che stimoli gli investimenti privati.

(Mauro Bafile/Voce)

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