Venezuela: il presidente nel suo labirinto. Nuova sfida per la Mud

Il presidente della Repubblica, Nicolás Maduro

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Solo, nel suo labirinto. Il presidente della Repubblica, Nicolás Maduro continua a perdere popolarità. E la perde proprio in quei settori, la classe popolare e gli strati più umili della popolazione, sui quali si sostiene tutta l’impalcatura del potere costruita con pazienza certosina dall’estinto presidente Chávez.

I venezuelani continuano, con stoicismo, a fare lunghe file alle porte dei supermercati nella speranza di poter acquistare generi alimentari o prodotti per l’igiene. E’ vero. Non vi sono ancora sondaggi che traducano in numeri e percentuali il malcontento popolare. Ma è sufficiente ascoltare le conversazioni dei venezuelani che attendono impassibili l’arrivo improbabile di un carico di polli, pasta, farina, zucchero o carne per rendersi conto di come sia cambiato l’umore della gente.

Dalla caratteristica malizia “criolla”, emergono dubbi, perplessità, irritazione. Non c’è più passione per il “processo rivoluzionario”. L’ondata di entusiasmo è stata sostituita da frustrazioni e delusione. E viene meno la fiducia verso il “delfino” mentre resta inalterata l’ammirazione per l’estinto “Comandante Supremo”.

Il presidente della Repubblica è sempre più solo. Nei discorsi ripete con ostinata ossessione il suo diagnostico della crisi economica che ha portato il paese sull’orlo del burrone. “Guerra economica” e débâcle dei prezzi del petrolio. Due fenomeni, insiste, provocati dalle forze reazionarie dell’“imperialismo internazionale” che muovono, da dietro le quinte, le trame del potere. Ma non presenta soluzioni. O, ancor meglio, non propone nuove idee in alternativa a quelle che, come abbiamo visto, non hanno ottenuto alcun risultato positivo.

Il “Decreto di Emergenza”, al centro della polemica nei giorni scorsi, è stato semplicemente l’enunciato non di provvedimenti concreti per mettere la crisi con le spalle al muro – leggasi, ad esempio, politica dei prezzi della benzina, provvedimenti orientati a dare nuovo ossigeno ai complessi produttivi privati, strategie per riscattare le industrie e le cooperative inefficienti in mano dello Stato o politiche per liberare lo Stato dal peso di aziende deficitarie e oggi fonte di corruzione – ma la richiesta di maggiori poteri all’Esecutivo. Una richiesta ovviamente inaccettabile per un Parlamento controllato dall’Opposizione.

Quanto avvenuto nei giorni scorsi non è stato altro che la “cronaca di una morte annunciata”. Un luogo comune, è vero, ma che illustra chiaramente l’ambiente che si respirava nel Paese ancor prima della presentazione del rapporto redatto dalla Commissione creata “ad hoc” per analizzare il “Decreto di Emergenza”.

Insubordinazione, renitenza, riluttanza. Soprattutto timore a un esame che avrebbe probabilmente messo allo scoperto irregolarità e anomalie. Il capo dello Stato ha assunto la responsabilità della mancata presentazione dei ministri dell’Economia alla Commissione presieduta dall’economista José Guerra. Al di là delle conseguenze giuridiche che i costituzionalisti potranno attribuire al gesto di indisciplina, pare ovvio che i funzionari hanno preferito non esporsi all’esame del Parlamento. E, nel sollecitare che l’udienza fosse privata, all’esame dei venezuelani.

E’ senz’altro vero che vi è una massa critica di informazioni che non può essere ventilata pubblicamente senza serie conseguenze per il paese. Ad esempio, provvedimenti futuri nell’ambito del mercato cambiario e finanziario. Ma lo è anche che vi è un’altra massa critica di informazioni che il Paese deve conoscere. Ad esempio, quali sono l’entità reale delle Riserve Internazionali del paese, l’ammontare del debito estero, la consistenza del deficit, la capacità produttiva della holding petrolifera, la spesa che rappresenta Petrocaribe e i singoli accordi con paesi del Centro-America, e così via.

Sono informazioni indispensabili per tratteggiare interventi di politica economica orientati a recuperare la fiducia dell’investitore, ridurre l’inflazione, rafforzare l’impresa pubblica e privata e frenare la crisi.

Ma rendere pubbliche le cifre dell’economia venezuelana sarebbe stato probabilmente l’equivalente a esporre il governo a un esame dal quale sarebbe stato se non “bocciato”, almeno “respinto a settembre”. E avrebbe messo a nudo la proporzione di una crisi che non è solo frutto della débâcle petrolifera e, tanto meno, di una presunta “guerra economica”.

Probabilmente sarebbero emersi tanti elementi legati non alla razionalità economica ma a quella geopolitica; elementi che, sia detto per inciso, in determinate occasioni sono validi e fanno parte della politica globale di un Governo. D’altronde, negli anni d’oro dell’economia venezuelana – leggasi decade del ‘60 e del ‘70 -, la partecipazione del Venezuela al “Patto Andino” e ad altri accordi internazionali in centroamerica rispondeva più che a criteri di razionalità economica ad altri di politica internazionale e di strategie geopolitiche.

La decisione del Parlamento di rispedire al mittente il “Decreto di Emergenza Economica”, così com’è stato presentato, era inevitabile. Continua il “muro contro muro”. Naufraga il tentativo del Governo di far partecipe l’Assemblea Nazionale delle responsabilità della crisi. Il Parlamento se ne tira fuori, non senza presentare alcuni suggerimenti.

La crisi economica del paese, quindi, resta responsabilità del Governo. E sarà suo interesse risolverla al più presto, se non vorrà subire una nuova sconfitta elettorale: all’orizzonte fa capolino l’elezione per il rinnovo di Governatori e Sindaci.

Questo appena iniziato, stando alle previsioni del Fondo Monetario Internazionale e di altri organismi multilaterali, sarà il terzo anno consecutivo di profonda recessione. Si stima la caduta del Prodotto tra il 6 e l’8 per cento. Brutte notizie anche sul fronte dell’inflazione. Si teme che nel 2016 il Venezuela possa entrare nella spirale dell’iperinflazione. Ovvero, tasso di crescita mensile dei prezzi superiore al 50 per cento a causa del deficit fiscale finanziato dalla stampa di nuova moneta.

Se ciò fosse poco, il mercato petrolifero, con l’irruzione dell’Iran che ha già annunciato l’intenzione di vendere oltre un milione di barili al giorno, non pare sia in condizione di recuperare terreno nei prossimi mesi. L’incremento dell’offerta di greggio, a fronte di una domanda sempre debole a causa della crisi cinese e della lenta ripresa europea, permette di pronosticare prezzi se non inferiori ai 20 dollari il barile certamente non superiori ai 30.

E’ in questo contesto che il Governo dovrà assumere le proprie responsabilità, se vorrà disinnescare la bomba dell’esplosione sociale ed evitare che l’Opposizione continui a guadagnare le simpatie dell’elettorato.

A tutto questo, il “Tavolo dell’Unità” tace. Dopo mesi, la strana alleanza che ha permesso il trionfo dell’Opposizione nella Parlamentarie, ha ceduto la battuta al Parlamento. Ma dovrà riprenderla a breve. A prescindere da quale delle correnti in seno all’Opposizione prevarrà – sullo sfondo vi è lo scontro tra falchi, che difendono la teoria della “Salida”, ossia di un referendum per destituire il Capo dello Stato, e colombe, che sostengono la strategia dei piccoli passi -, l’Opposizione dovrà impegnarsi per conquistare il maggior numero di Governi locali. Insomma, dovrà ipotecare nuovi spazi. E affrontare un Governo che, dopo la sconfitta del 6 dicembre, non sarà disposto a cederne altri.

All’orizzonte si presenta un 2016 di aspro confronto politico; di dispute che porranno sotto stress l’intera struttura democratica e spingeranno forze politiche a tirare dalla giacca istituzioni – leggasi Forze Armate – preposte a incombenze nelle quali la partecipazione politica non dovrebbe essere contemplata.

(Mauro Bafile/Voce)

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