Venezuela, dal crac economico all’emergenza sanitaria

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Non il Governo, ma il Parlamento. Non il potere Esecutivo, in possesso delle statistiche necessarie per prendere la decisione e assumere le proprie responsabilità, ma il potere Legislativo, su richiesta delle organizzazioni legate all’ambito della salute. In Venezuela è stata decretata l’Emergenza Sanitaria. Una decisione che si attendeva da mesi, vista la mancanza cronica di medicine e nuovamente la presenza di malattie che erano state debellate dal Paese nel secolo scorso.

Malattie nuove, come il virus Zika; altre conosciute e bene o male controllate, come i virus del dengue e del chicunguya; e altre ancora debellate dal secolo scorso, come il paludismo, la scabbia, la tubercolosi e il “mal de Chaga”. Tutte patologie che oggi sono nuovamente tema di preoccupazione. E che dilagano a macchia d’olio specialmente nei quartieri più umili e nelle regioni più povere del Paese. Insomma, lì dove l’igiene personale resta una chimera.

Nonostante gli annunci rimbombanti del governo del Presidente Maduro, in Venezuela, oggi, manca di tutto. Non si tratta più solo di cibo o di prodotti per l’igiene. Neanche dell’umiliazione alla quale siamo soggetti a causa delle file e della necessità di deporre l’impronta digitale, per acquistare un litro di latte, un chilo di farina o una saponetta.

Oggi, il problema è ben più grave. E’ la mancanza di medicine che mette a repentaglio il benessere e la vita del venezuelano. Stando alle cifre conservatrici offerte da Ferfaven (Federación de Farmacias de Venezuela), si stima in oltre il 60 per cento la mancanza di farmaci. Ma altre fonti offrono cifre ancora più drammatiche.

La carenza di medicinali, stando agli esperti, è la conseguenza logica del debito del governo con i laboratori farmaceutici; un debito che sembrerebbe attestarsi attorno ai 3mila milioni di dollari e che non permette ai laboratori d’importare le materie prime per la produzione di medicinali.

E’ sempre più difficile per i venezuelani trovare una medicina in farmacia. Gli scaffali delle grandi catene farmaceutiche, ma anche quelli delle piccole farmacie, sono pieni di bevande gassate, patatine fritte, a volte biscotti ma non medicine. Sono queste le grandi assenti. Mancano gli antidolorifici e gli antifebbrili per bambini, le pasticche per il dolore di testa e il mal di gola, i farmaci antiacidi e digestivi, gli sciroppi per la tosse.

Insomma, le medicine più elementari e di uso comune. Ma non solo. Grandi assenti, nelle farmacie, sono anche gli antibiotici, gli antidepressivi, i farmaci antipertensivi e ipoglicemizzanti, gli anticoncettivi e le soluzioni per combattere l’Aids.

Se negli ospedali pubblici la carenza cronica di medicamenti si è andata aggravando, nelle cliniche private, solitamente ben rifornite, è ormai “codice rosso”. Mancano i biochimici e i reagenti per i laboratori, le lastre per gli esami di radiologia, e le materie prime per gli esami di medicina nucleare. Insomma, ospedali e cliniche, fatta eccezione per casi contati, non hanno le materie prime necessarie per effettuare gli esami diagnostici. Chi può, quindi, si reca nei centri specializzati in Colombia, Aruba e Curacao o nella vicina Miami. Ma questa è una soluzione alla portata di pochi, di pochissimi.

La cordata di solidarietà all’estero, per diminuire le difficoltà e ridurre le sofferenze dei venezuelani, non è sufficiente per sopperire alla grave mancanza di medicine nel paese. Ma aiutano. E infatti, ad esempio, è di grande aiuto la raccolta di medicine promossa in Abruzzo da “Aiuti Umanitari per il Venezuela”, con in prima linea il medico Eduardo Leombruni e gli italo-venezuelani Giovanni Secchi e Lorenzo Capellin. Essa è parte di un progetto di più amplio respiro nato in seno alla comunità venezuelana residente a Miami grazie all’impegno di Marisol Dieguez; un’iniziativa che è cresciuta e ha avuto un’amplia diffusione in tutta Europa.

In Abruzzo, le farmacie della Val Pescara e della Valle Peligna sono state tra le prime a organizzare una grande cordata di solidarietà. Le medicine sono inviate a orfanotrofi, anzianati, pompieri, organizzazioni religiose e Ong.

Anche in questa occasione, non si hanno cifre ufficiali della situazione sanitaria del Paese. Si sa, perché lo ha affermato il ministro della Salute, che i probabili casi di Zika sono circa 4mila. Ma la cifra è refutata da personalità di spicco del mondo della medicina.

Ad esempio, José Félix Oletta, Julio Castro, Ana Carvajal, Oswaldo Godoy, Carlos Walter, Ángel Rafael Orihuela, Saúl Peña e Andrés Barreto che segnalano che nelle prime due settimane di gennaio i casi registrati di febbre acuta, e quindi con il sospetto della presenza dello ZiKa, sono stati: Zulia 25.439, Miranda 12.248, Anzoátegui 11.866, Bolívar 11.593, Lara 9.453, Carabobo 8.115, Aragua 6.315, Portuguesa 6.173, e Yaracuy 5.672.

Il Servizio di Cardiologia dell’Ospedale universitario di Caracas ha denunciato recentemente il decesso di 13 malati per mancanza di materiale chirurgico. E la morte di altri 42 infermi che, rimandati a casa, erano in attesa di un’operazione al cuore.

E mentre la crisi sanitaria si abbatte sul Venezuela, il clima politico si fa sempre più rovente. Il dibattito è aspro, brusco, appassionato. La decisione del presidente dell’Assemblea Nazionale, Henry Ramos Allup, di disertare l’inizio dell’Anno Giudiziario 2016, ha permesso al capo dello Stato, Nicolás Maduro, di sferzare nuovamente il Parlamento dominato da deputati del “Tavolo dell’Unità”. E di sostenere che la Corte è l’unica istituzione con il potere per decidere sui conflitti politici. Una chiara allusione, questa, ai deputati dello Stato Amazonas, sospesi per presunta frode elettorale e dei quali ancora non si conosce quale sarà il destino.

Ma quelle del presidente Maduro, in occasione della cerimonia d’inizio dell’Anno Giudiziario, non sono state le uniche dure e denigranti espressioni pronunciate contro il Parlamento. Già in precedenza, aveva infierito contro i deputati della maggioranza, colpevoli di approvare, in prima discussione, la Legge che permetterà all’inquilino delle Case della “Mision Vivienda” di riceverne il titolo di proprietà.

– Si vuole tornare alla proprietà privata – ha tuonato il capo dello Stato -. E noi non lo permetteremo.

L’opposizione, dal canto suo, ha spiegato che la legge permetterà a chi oggi abita in una casa popolare della “Misiòn Vivienda” di esserne legittimo proprietario. E, così, di poterla dare in eredità ai propri figli e, nel caso lo considerasse necessario, affittarla e ipotecarla o venderla per acquistarne una nuova.

C’è oggi chi sospetta che la veemenza con cui il governo difende l’attuale struttura della “Misiòn Vivienda” abbia alla base ben altre ragioni. Ad esempio, c’è chi suggerisce che possano venire a galla casi di corruzione e di irregolarità amministrative. Altri, invece, formulano l’ipotesi che il numero di case costruite sia di gran lunga inferiore a quello pubblicizzato dal Governo.

Speculazioni e considerazioni che comunque seminano dubbi e perplessità; dubbi e perplessità che troverebbero conferma nella mancanza di materie prime per l’industria della costruzione. Il deputato Josè Prad ha reso noto che Sidor, oggi, produce al 24 per cento della propria capacità, Venalum, al 23 per cento; Alcasa, al 22 per cento; Bauxiven, al 32 per cento e Ferrominera, al 42 per cento.

Il dibattito politico, quindi, pare assumere toni sempre più preoccupanti come sempre più preoccupante è la situazione sociale del paese. Il Venezuela, quindi, non è solo sull’orlo del crac economico ma anche di una crisi sanitaria di proporzioni mai vissute. Aver decretato l’”Emergenza” è solo un primo passo. Significa averne preso coscienza. Si attendono ora i provvedimenti per superarla.

(Mauro Bafile/Voce)

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