Dalle major ai paesi produttori, le vittime del petrolio a 30 dollari

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ROMA. – Le big mondiali ma anche i paesi produttori con le spalle meno larghe. E’ lunga la lista delle vittime del crollo del prezzo del petrolio, che è sceso sotto quota 30 dollari facendo precipitare in Borsa tutto il comparto energetico. Le principali vittime del mini-greggio sono ovviamente le compagnie petrolifere. E’ cominciato il periodo della diffusione dei bilanci 2015 e sul campo si contano parecchi feriti.

E’ stata la volta di Bp ed Exxon, due delle vecchie Sette sorelle che dettavano legge negli anni ’50 e ’60. La prima ha annunciato un bilancio da brivido, con una perdita netta di 6,5 miliardi di dollari e un quarto trimestre con l’utile in picchiata del 91% a 196 milioni di dollari, contro i 2,24 miliardi di dollari dello stesso periodo dell’anno precedente. Il risultato è anche inferiore alle attese degli analisti, che avevano stimato per il trimestre un utile di 814,7 milioni di dollari. Il colosso inglese ha anche annunciato il taglio di 7.000 posti di lavoro entro il 2017: 4.000 posizioni saranno eliminate nella divisione marketing quest’anno e 3.000 nel settore raffinazione l’anno prossimo.

Meno disastrosi, e superiori alle stime degli analisti, i conti del gigante americano, che termina il quarto trimestre con un profitto di 2,78 miliardi di dollari, contro i 6,57 miliardi dello stesso periodo del 2014, e archivia il 2015 con un utile tagliato di netto a metà a 16 miliardi: il cattivo andamento della divisione petrolio e gas è stato in parte compensato dalla grande performance della raffinazione, che, proprio grazie ai bassi prezzi della materia prima, ha sostanzialmente raddoppiato i guadagni.

La settimana scorsa Petrochina ha lanciato un profit warning, Chevron ha riportato la prima perdita trimestrale dal 2002 e Royal Dutch Shell ha già annunciato, qualche settimana prima dei conti che usciranno il 4 febbraio, un crollo dell’utile trimestrale di almeno il 42%. Nei prossimi giorni arriveranno i conti di altre major come Total (l’11 febbraio) ed Eni (26 febbraio). Si tratta di un banco di prova importante: praticamente tutte sono state infatti messe sotto osservazione, con possibili implicazioni negative, da parte delle principali agenzie di rating.

Di ancora più ampia portata sono le conseguenze per i Paesi produttori, almeno quelli con le spalle meno larghe, che non riescono a sostenere una fase così lunga di quotazioni al minimo. A cominciare dalla Russia, che ha deciso di mettere sul piatto i propri pezzi migliori in un piano di privatizzazioni decisivo per rimpinguare le casse dello Stato, fino al Venezuela, che cerca consensi per costringere l’Opec a un taglio della produzione cui aspira da tempo, passando per la Nigeria.

Il crollo dei prezzi del petrolio, insomma, fa piangere tanti, dalle compagnie ai Paesi produttori, ma a qualcuno fa invece tornare il sorriso: favorisce infatti invece i Paesi consumatori (tra cui l’Italia) e le compagnie aeree. Proprio oggi Ryanair ha annunciato che nel 2017 risparmierà 430 milioni di euro grazie al minor costo del carburante.

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