L’Italia disegna la nuova Europa: eurobond, Fme e ministro delle Finanze

Italian Prime Minister Matteo Renzi (right) puts an arm around the shoulder of President of the European Commission Jean-Claude Juncker during arrivals at Eastern Partnership Summit in Riga, Latvia, 22 May 2015. ANSA/VALDA KALNINA
Italian Prime Minister Matteo Renzi (right) puts an arm around the shoulder of  President of the European Commission Jean-Claude Juncker during arrivals at Eastern Partnership Summit in Riga, Latvia, 22 May 2015.  ANSA/VALDA KALNINA
Italian Prime Minister Matteo Renzi (right) puts an arm around the shoulder of President of the European Commission Jean-Claude Juncker during arrivals at Eastern Partnership Summit in Riga, Latvia, 22 May 2015. ANSA/VALDA KALNINA

ROMA. – L’Italia traccia le linee guida di una nuova Ue, più forte, più integrata, più “mutualistica”, come ama ripetere il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, più ricca in termini di crescita e di lavoro. In un documento di 9 pagine il governo propone l’emissione di eurobond per fronteggiare l’emergenza migranti e sostenere gli investimenti, chiede il massimo utilizzo degli spazi di bilancio sui conti pubblici, ipotizza la nascita di un Fondo monetario europeo e sposa l’idea di un superministro delle Finanze Ue, rigorosamente dotato di un proprio budget.

Ma nonostante il tono del position paper ufficiale di Palazzo Chigi sia decisamente meno enfatico di quello utilizzato quasi quotidianamente da Matteo Renzi, abituato ad un linguaggio diretto e poco diplomatico, ad emergere distintamente dal testo è ancora una volta un confronto aperto Italia-Germania. Berlino non viene mai nominata, così come nessun altro Paese membro, ma le differenze tra le posizioni dei due governi sul futuro dell’Unione sono inequivocabili. Non solo su rigore e austerity.

La Germania non ha mai amato e continua a respingere l’idea di obbligazioni di debito comuni. Eppure l’Italia le propone sia per trovare le risorse necessarie a fronteggiare l’emergenza rifugiati, che alle frontiere va gestita veramente a livello comunitario rafforzando e non abbandonando Schengen, sia per favorire gli investimenti.

Il piano Juncker che deve essere ancora attuato in tutte le sue potenzialità, potrebbe infatti non essere sufficiente e proprio per questo, sottolinea Roma, andrebbero esplorate “ulteriori iniziative comuni”, come appunto le emissioni di bond garantiti a livello europeo. Praticamente fumo negli occhi per il governo tedesco.

L’Italia spinge per un’accelerazione nel completamento dell’Unione bancaria e lo fa puntando sulla creazione del Fondo europeo di garanzia dei depositi, per niente ben visto in Germania. Nel documento non si fa parola di una possibile moratoria del bail-in, richiesta invece dalla Banca d’Italia, ma si invoca comunque la condivisione del rischio e si arriva persino ad ipotizzare la trasformazione dell’Esm in Fondo monetario europeo.

Roma scopre le carte anche sposando l’idea di Bundensbank e governo francese di un superministro europeo delle Finanze, sulla quale però il ministro tedesco Schaeuble si è mostrato finora decisamente prudente.

Il piatto forte arriva poi sui conti pubblici. I punti deboli dell’Italia sono deficit e debito, quelli della Germania surplus commerciale e delle partite correnti, ma l’Ue – lamenta indirettamente Roma – usa due pesi e due misure, mentre quello che servirebbe è una “maggiore simmetria” nel rispetto delle regole. Importanti surplus delle partite correnti hanno infatti sull’Eurozona “un impatto negativo alla pari di quello causato dal deficit”.

Renzi lo ha sottolineato, a suo modo, anche davanti alla stampa estera, rispondendo – non a caso – proprio alla domanda di un giornalista di un’agenzia tedesca. Lo scorso anno l’export dell’Italia verso la Germania è aumentato dell’1%, mentre l’import dalla Germania del 7%. Il risultato è stato che “l’Italia ha visto il Pil diminuire dello 0,2% per effetto dell’import tedesco”. Una stoccata in stile Renzi che, senza mezzi termini, è tornato ad attaccare il fiscal compact, rivelatosi un “circolo vizioso e non virtuoso”.

Ufficialmente Roma non chiede ancora però una revisione dei Trattati e, anzi, proprio per evitare di vedersi sbarrare la porta da chi si oppone tout court a modifiche degli accordi, sottolinea che molto si può già ottenere rimanendo dentro alle regole esistenti. Le ambizioni vanno tuttavia coltivate, come si è dimostrato con la comunicazione sulla flessibilità di un anno fa.

Proprio il pieno utilizzo di quei margini permetterebbe del resto all’Italia di ottenere il pieno via libera Ue alla manovra 2016, anche nel caso di una crescita dell’economia inferiore alle aspettative. E Renzi si è lasciato sfuggire una possibile revisione delle stime del Pil a +1,4% contro il +1,6% del Nota al Def.

(di Mila Onder/ANSA)

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