Super Tuesday a Hillary e Trump. Scende in campo Romney

(FILE) A file photo dated 15 March 2013 of former presidential candidate and Governor Mitt Romney waving at the 40th Annual Conservative Political Action Conference (CPAC) at the Gaylord National Resort & Convention Center in National Harbor, Maryland, USA. Media reports on 30 January 2015 state that Republican Mitt Romney - who was defeated by US President Obama in the 2012 presidential elections - will not run again for President in 2016. ANSA/SHAWN THEW
(FILE) A file photo dated 15 March 2013 of former presidential candidate and Governor Mitt Romney waving at the 40th Annual Conservative Political Action Conference (CPAC) at the Gaylord National Resort & Convention Center in National Harbor, Maryland, USA. Media reports on 30 January 2015 state that Republican Mitt Romney - who was defeated by US President Obama in the 2012 presidential elections - will not run again for President in 2016.  ANSA/SHAWN THEW
(FILE) A file photo dated 15 March 2013 of former presidential candidate and Governor Mitt Romney waving at the 40th Annual Conservative Political Action Conference (CPAC) at the Gaylord National Resort & Convention Center in National Harbor, Maryland, USA. Media reports on 30 January 2015 state that Republican Mitt Romney – who was defeated by US President Obama in the 2012 presidential elections – will not run again for President in 2016. ANSA/SHAWN THEW

NEW YORK. – La matematica dice che la partita non è ancora chiusa, né a destra né a sinistra. Ma il Super Tuesday consegna un quadro chiarissimo: la corsa per la Casa Bianca è sempre più una corsa a due. Donald Trump da una parte, Hillary Clinton dall’altra. Se le primarie del 15 marzo in stati-chiave come la Florida e l’Ohio finiranno a loro favore, come promettono i sondaggi, i giochi saranno probabilmente fatti.

Per i loro avversari, nel supermartedì in cui si votava in 12 stati, non c’è stato molto da fare. I due frontrunner hanno conquistato 7 stati ciascuno, e incrementato in maniera consistente il numero di delegati, quelli che poi li voteranno nelle convention repubblicana e democratica di fine luglio. Sui due fronti gli unici che tentano disperatamente di resistere sono Ted Cruz e Bernie Sanders.

Il senatore ultraconservatore ed ex beniamino dei Tea Party anti-tasse è riuscito a strappare altri due stati oltre al suo Texas, accreditandosi almeno per una notte come il vero anti-Trump. Complice la debacle di Marco Rubio, che getta l’establishment repubblicano nello sconforto più totale. Tanto che il partito potrebbe giocare la carta della disperazione: la discesa in campo di Mitt Romney. Sarà il tempo a dire se si tratti di fantapolitica o meno.

Intanto l’ex candidato che nel 2012 fu sconfitto da Barack Obama scenderà nelle prossime ore in campagna elettorale con un intervento all’università dello Utah. Intervento che – assicurano i ben informati – avrà un unico obiettivo: screditare il tycoon newyorchese, metterlo il più possibile in cattiva luce.

Una missione che Rubio ha fallito. Sul giovane senatore di origini cubane puntavano i vertici del partito, sperando nel miracolo. Ma il miracolo non c’è stato, e ora Rubio dovrà tentare il tutto per tutto il 15 marzo nel suo stato, la Florida. Ma l’impresa appare al momento quasi impossibile, visto che i sondaggi non lo danno favorito. Ecco allora che la maggior parte dei commentatori politici lo dà ormai a fine corsa. Come è imminente l’addio dell’ex chirurgo Ben Carson, che lascia in dote un pacchetto di voti che potrebbero diventare determinanti per la nomination repubblicana.

Il conteggio dei delegati, comunque, lascia ancora la porta aperta a sorprese: Trump ha vinto infatti il Super Tuesday conquistando sette stati, ma la strada verso la nomination è ancora lunga. Dall’inizio delle operazioni di voto il tycoon ha conquistato il 46% dei delegati a disposizione e per assicurarsi la nomination ha bisogno di vincere il 52% dei restanti delegati in palio. Per la nomination repubblicana ne sono infatti necessari 1.237, e Trump per ora ne ha 316, contro i 226 di Cruz e i 106 di Rubio. Insomma, la strada è ancora lunga e non facile.

Anche in campo democratico nulla è ancora definitivamente perduto per Sanders, che è riuscito a imporsi in quattro stati, conquistando le roccaforti dell’elettorato più liberal, tranne il Massachusetts, dove sperava di spuntarla su Hillary. Per lei è stata forse la notte più bella da quando è iniziata la campagna elettorale, perché ha avuto la certezza che gli stati del sud, considerati da sempre feudo dei Clinton, non l’hanno tradita.

Così l’ex first lady punta dritto al bersaglio grosso, Donald Trump: “Questo Paese appartiene a tutti noi, non solo a chi guarda in una direzione, prega in una direzione o pensa in una direzione”. Fiuta la vittoria finale, anche se lei per prima mette in guardia la sua campagna a non abbassare la guardia. Commettere lo stesso errore di sottovalutazione fatto dal partito repubblicano nei confronti di Trump sarebbe fatale.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)