Venezuela, crescono l’industria del sequestro e i casi di linciaggio

catastrofe

CARACAS – Da anni è una delle attività criminali più redditizie e dal rischio quasi inesistente. Una lauta ricompensa, per poche ore di “lavoro” settimanale. Non deve meravigliare, quindi, se, stando alle cifre ufficiose in assenza di quelle ufficiali, il numero dei “sequestri-lampo” si sia moltiplicato. Oggi se ne stimano circa 200 al giorno. E questa è considerata una cifra prudente, a detta di alcuni esperti criminalisti.

Il fenomeno dei “sequestri-lampo” colpisce in particolare la fascia della popolazione più giovane. Infatti, le vittime preferite sono gli studenti e gli adolescenti. I rapimenti, poi, avvengono nelle ore del mattino, nel corso della settimana, e della sera, durante il weekend. La classe media, come è facilmente intuibile, è la più colpita.

Quella del “sequestro-lampo” è l’attività delinquenziale ritenuta più sicura. Infatti, sempre che non intervengano circostanze fortuite – leggasi, presenza di un testimone che avvisi tempestivamente la polizia o della polizia stessa che allora interviene immediatamente – tutto si risolve in poche ore, e comunque nell’arco di una giornata.

Insomma, il tempo necessario perché la famiglia della vittima possa riunire il denaro del riscatto. Il ricavato del sequestro, poi, è spesso investito dai delinquenti per acquistare armi più potenti o per costruire un’organizzazione capace di portare avanti rapimenti più impegnativi e più lucrativi.

A rendere oggi più complessa la realtà non è solo la connivenza in alcuni casi, purtroppo, di agenti della polizia ma, soprattutto, l’esistenza di zone, interi quartieri battezzati dal Governo “àreas de paz”, off-limits per la polizia. Insomma, aree urbane gestite dalle stesse bande che se ne contendono il controllo e che “governano” seminando il panico tra chi vi abita. E’ qui che, una volta realizzato il reato, viene portato il malcapitato in attesa che sia pagato il riscatto.

La nostra comunità non scappa al fenomeno dei sequestri. Sono sempre più numerose le vittime tra i nostri giovani. E’ sufficiente ascoltare le conversazioni tra i tavolinetti degli “snack bar” dei nostri Centri sociali per rendersi conto della gravità della situazione. E’ per questo che ancora oggi appare incomprensibile la relazione fatta a suo tempo dal nostro Ambasciatore Paolo Serpi, nella quale considerava inutile la presenza del nostro esperto anti-sequestro e, quindi, consigliava all’Unità di Crisi il suo ritiro.

Eppure, ieri come oggi, in un paese in cui la delinquenza è dilagante e si stima siano in mano della malavita organizzata circa 120 persone, la presenza dell’esperto anti-sequestro, sufficientemente pubblicizzata affinché la nostra comunità sappia a chi fare riferimento in caso di una simile tragedia, è una vera necessità. Una necessità alla quale, speriamo, l’Unità di Crisi dia presto risposta.

Come sono in aumento le cifre dei sequestri, lo sono anche quelle degli omicidi. Ogni settimana se ne contano tra gli 80 e i 100. Un vero bollettino di guerra, che rende drammaticamente l’idea della realtà venezuelana. Sono anche sempre più frequenti i casi di linciaggio. Atti atroci e ingiustificabili in una società moderna.

E’ la reazione della popolazione, non solo di quella più umile che abita nei “ranchos” e nelle “villas miseria” della città ma anche di quella di classe media che vive nei quartieri “in” delle metropoli, che si fa giustizia ritenendo che gli organismi ufficiali siano non solo deboli ma anche corrotti.

Quello dell’insicurezza non è l’unico aspetto che preoccupa. Nella sua ultima edizione, la prestigiosa rivista “The Economist” paragona la realtà venezuelana a quella dello Zimbawe di Mugabe. Tante le analogie: dal discorso populista e demagogico narcotizzante, agli espropri indiscriminati, dai “war veterans” alle accuse contro l’imperialismo, la borghesia e i proprietari di industrie; dagli eccessivi controlli dei prezzi a quello delle istituzioni.

E sottolinea che la politica di Mugabe condusse lo Zimbawe ad una crisi economica senza precedenti con una inflazione stimata nel 2008 attorno a 80 miliardi per cento. Il Fondo Monetario Internazionale, tradizionalmente cauto e assai conservatore nelle proiezioni, stima per il Venezuela a fine anno una caduta del Pil pari al 9 per cento e una inflazione del 720 per cento.

Il governo del presidente Maduro, oggi, affida il suo futuro alla ripresa del mercato petrolifero. E scommette tutto sul Summit di Doha. Se in quell’occasione i paesi dell’Opec non riuscissero a raggiungere un accordo, allora sarebbe inevitabile una maggiore contrazione del prezzo del barile di greggio, con conseguenze catastrofiche per l’economia del Paese.

Se la situazione economica è preoccupante ancora di più lo è quella politica. Il paese pare ormai alla deriva e la crisi fa emergere tutte le contraddizioni e le debolezze sia in seno al “chavismo” sia nel “Tavolo dell’Unità”.

Nel partito di governo, il dissenso cresce nella misura in cui la popolarità del capo dello Stato diminuisce. Non è più solo “Aporrea.com”. Ora anche altre correnti, in seno al “chavismo”, esprimono critiche alla maniera in cui il governo affronta la crisi. Recentemente lo stesso ex ministro degli Interni, Rodríguez Torres ha ammesso la necessità di un colpo di timone nell’orientamento economico del Paese. Ma pare che in seno al governo non vi sia la volontà di assumere le responsabilità di provvedimenti economici che implicherebbero un prezzo politico assai elevato.

In seno all’opposizione, intanto, la strana coalizione eterogenea che costituisce il Tavolo dell’Unità mostra tutte le sue limitazioni; limitazioni derivate dalla mancanza di un vero programma di governo. L’obiettivo attorno al quale si era solidificata l’Opposizione era stato la conquista del Parlamento. Oggi che l’obiettivo è stato raggiunto, il Tavolo dell’Unità pare alla deriva. Le tante anime che lo compongono, il più delle volte in contrasto l’una con l’altra, non solo stanno alimentando il caos all’interno della coalizione ma stimolano il malcontento tra gli oltre 7 milioni di elettori che vi hanno riposto le loro speranze.

Mentre l’azione dei deputati è neutralizzata dalla Corte che puntualmente rispedisce al mittente, attraverso sentenze senza appello, le decisioni del Parlamento, il Tavolo dell’Unità pare non essere in condizione di dare risposte ai cittadini. Questi aspirano a provvedimenti e decisioni che permettano al Paese di uscire dalla crisi e, quindi, di contenere i danni che provoca l’inflazione al potere d’acquisto dei salari.

Dal canto loro, le forze politiche che compongono il Tavolo dell’Unità sono sempre più convinte che la ripresa del paese sia collegata alle dimissioni del presidente Maduro o, in ogni caso, alla revoca del suo mandato. I tempi stringono.

Per il momento, il governo del presidente Maduro è riuscito a soffocare i conati di protesta e di saccheggio. Ma questi sono sempre più numerosi e sempre più violenti. Gli esperti temono un’esplosione sociale incontrollata. Anzi, si chiedono come questa non sia ancora avvenuta. Intanto, l’istituzione militare osserva.

(Mauro Bafile/Voce)

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