Una transizione negoziata per riscattare il Venezuela

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Ridotto all’osso. Se non proprio a capolinea, pericolosamente vicini. Quando un capo dello Stato, tra le tante raccomandazioni per evitare gli sprechi dell’energia elettrica, chiede alle donne di evitare l’uso dell’asciugacapelli vuol dire che non ci sono più margini di manovra. Insomma, che, a meno che non avvenga un miracolo, il “black-out” è ormai alle porte.

E’ quanto ha fatto il presidente della Repubblica, Nicolás Maduro, nei giorni scorsi, davanti alle cineprese dei “mass-media” pubblici e privati. Il “video” è diventato subito “virale” su internet. Tanti i commenti, un misto di preoccupazione, ironia e “umor nero”, dai quali emerge una profonda sensazione di frustrazione e rabbia.

La capitale, come al solito, è la “niña mimada”. Nelle sfere del potere si ha la convinzione, e forse è anche vero, che è proprio qui, nel centro delle attività politiche ed economiche, dove potrebbe iniziare la protesta; la scintilla destinata ad infiammare la prateria. Da qui, l’impegno ad evitare interruzioni dell’energia elettrica eccessivamente lunghe e la prolungata mancanza d’acqua corrente, fenomeni entrambi assai comuni in provincia.

“Virali” nella rete sono anche le denunce di ricatti dei distributori di alimenti nei quartieri popolari. Solo chi firma la petizione di abrogazione della Legge di Amnistia, stando ai “video” che circolano nella rete, avrebbe accesso all’acquisto di farina, pasta, zucchero, pollo, latte e burro a prezzi sussidiati. Vero o falso? Comunque sia, la rabbia cresce. Per il momento cova repressa assieme ai sentimenti di frustrazione e indignazione. E c’è chi si chiede quanto tempo ancora tarderà a esplodere.

Mentre i prezzi dei prodotti si moltiplicano con la stessa velocità con cui gli alimenti scompaiono dagli scaffali dei supermarket per riapparire, come per magia, in quelli del mercato nero, a prezzi impossibili nell’ambito politico continua lo scontro tra un Governo, trincerato dietro le istituzioni “fedeli” dello Stato e l’Opposizione, barricata nell’Assemblea nazionale.

Il governo del presidente Maduro ha posto sotto assedio il Parlamento, privandolo apparentemente d’ogni potere. I funzionari dello Stato, anche se non tutti a dir la verità, disertano le interpellanze parlamentari mentre la Corte Suprema rende effimera la creazione di nuove leggi da parte di quella che è, o dovrebbe essere, l’autentica espressione della volontà popolare: il Congresso.

Il capo dello Stato, come già fatto con altre Leggi approvate dal Parlamento, ha posto il quesito di costituzionalità alla Corte sulla Legge di Amnistia, approvata pochi giorni fa. In passato, fu la figura dell’Amnistia che permise la “politica di pacificazione” del presidente Rafael Caldera e diede la possibilità alla guerriglia di re-integrarsi alla vita del paese. Inoltre, fu proprio grazie ad una amnistia che l’estinto presidente Chávez riacquistò la libertà nel 1994, due anni dopo il fallito tentativo di “golpe” del 1992.

Il verdetto della Corte non è stato diverso da quelli precedenti. E cioè, ha dichiarato l’incostituzionalità della Legge di Amnistia e annullato tutti gli sforzi fatti dalle forze politiche dell’Opposizione per permettere ai prigionieri politici, o politici in prigione –eufemismo impiegato dal “chavismo”-, di tornare in libertà.

L’assedio al Parlamento, e l’intervento della Corte Costituzionale che evidentemente trasforma l’Assemblea Nazionale in un’“anatra zoppa”, arricchisce le ragioni che avallano la tesi del Tavolo dell’Unità secondo cui l’unica alternativa possibile per “ricostruire” il Paese politicamente ed economicamente sarebbero le dimissioni, volontarie o indotte dal referendum abrogativo, del presidente Maduro.

Il tempo stringe. La Costituzione impone scadenze improrogabili. Da qui la premura con cui l’Opposizione chiede da settimane al Consiglio Nazionale Elettorale di porre i paletti che permettano di procedere alla raccolta delle firme.

Il referendum abrogativo, comunque, non è la panacea. E di questo sono convinte le forze politiche. E’ sempre più numeroso il “partito” della transizione. E cioè, la corrente politica bipartisan che considera inevitabile, per risparmiare traumi al paese e impedire mali peggiori, una “salida negociada”, ossia un accordo che faciliti l’uscita di scena del Capo dello Stato.

Interessanti, a questo proposito, le argomentazioni illustrate dal connazionale Bruno Gallo, che non può certo essere accusato di conservatore o reazionario. Invitato al “Foro Venezuela 2016, ¿salida, golpe o acuerdo?”, Gallo ha esposto la necessità di una soluzione condivisa. Ovvero, una “soluzione” che soddisfi in ugual misura, i settori meno radicali dell’Opposizione, che sono la stragrande maggioranza, e quelli moderati del “chavismo”.

La distruzione del “chavismo” non può, né deve essere, l’obiettivo. Il rischio è di rendere ancora più profonde le divisioni politiche del Paese. Inoltre, la sua esistenza è garanzia di alternabilità futura nella conduzione del Paese e, quindi, espressione di democrazia e tolleranza.

Gallo, nel suo articolato intervento, sostiene che la “salida negociada” è ostacolata da settori militari, imprenditoriali, politici e della società che preferiscono l’imposizione alla dialettica. E spiega che il processo di negoziazione impone sacrifici e richiede il sostegno della maggioranza.

La “salida negociada”, stando a Gallo, rende necessario gettar ponti alle frange “chavistas” moderate, che cominciano a manifestarsi apertamente e sempre con più forza, e un Tavolo dell’Unità che sappia sottrarsi dall’influenza dell’ala radicale, minoritaria ma comunque assai attiva.

Intanto, sono sempre più numerosi i fatti di cronaca dai quali emergono la rabbia e le frustrazioni di una popolazione che si fa giustizia da sola, sostituendosi alle istituzioni “ad hoc” inefficienti, corrotte e deboli. Le forze dell’Ordine osservano inermi.

Oltre ai linciaggi, sempre più comuni, si sommano ora le vittime dei “justicieros”, sorta di “bande vendicatrici” che si dedicano ad eliminare fisicamente i presunti delinquenti. Agiscono in quei quartieri popolari in cui la malavita non è organizzata e le bande criminali ancora non hanno messo radici.

Se è vero quanto invece denunciato nei mass media, il Paese assiste oggi al fenomeno della formazione di “mega-bande” che dominano intere regioni. Ad esempio, l’asse “Cementerio-Coche”, Aragua-Carabobo e Guarico fino a Ocumare del Tuy. Bande queste, nate e cresciute fino ad essere vere e proprie organizzazioni criminali all’ombra delle “zonas de Paz”, decretate dal governo per permettere il reinserimento dei delinquenti nella vita della società e trasformate, grazie alla proibizione di agire della Polizia, in aree in cui i crimini vengono studiati a tavolino e realizzati in assoluta impunità.

Per concludere, i “Panama Papers”. Lo scandalo delle aziende offshore e dei paradisi fiscali ha coinvolto anche il Venezuela. Oltre 300 mila documenti, degli 11 milioni trafugati dal noto studio legale “Mossack Fonseca”, rivelano l’esistenza nel Paese di una fitta rete di corruzione che coinvolge personaggi di varia indole, tra loro anche alcuni vicini all’entourage dell’estinto presidente Chávez, prima; del presidente Maduro, poi.

Un numero imprecisato di industriali anonimi dei quali improvvisamente sono venute alle scoperto le immense ricchezze; militari che fino a ieri vivevano con un misero stipendio e sono diventati proprietari di aziende e grosse proprietà all’estero e aziende “offshore”; prestanomi che operano per conto di personaggi ancora senza nome. Ricchezze, tutte queste, facilitate dalla corruzione figlia della speculazione cambiaria e dagli eccessi del potere.

Nei prossimi giorni e settimane, sicuramente emergeranno nuove rivelazioni che potrebbero scuotere profondamente il mondo politico ed economico nazionale. E, speriamo che ciò non avvenga, anche la nostra comunità.

(Mauro Bafile/Voce)

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