Recuperata la lettera di Colombo, “ho scoperto un nuovo mondo”

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ROMA. – Stanco e inquieto, il grande Cristoforo Colombo non si fidava dei suoi uomini. Per questo, appena sbarcato a Restelo, vicino a Lisbona, di ritorno dal suo periglioso viaggio alla ricerca delle Indie, si affrettò a spedire una lettera per informare i reali di Spagna della scoperta del Nuovo Mondo. Era il 4 marzo 1493, le gesta del grande avventuriero genovese sono diventate storia.

Ma forse neanche lui poteva immaginare che una copia di quella sua lettera avrebbe compiuto, 500 anni dopo, un viaggio di andata e ritorno dalle Americhe, rocambolesco quasi quanto il suo.

Rubata dalla Biblioteca Riccardiana di Firenze, dove era stata sostituta da una copia, e recuperata dai carabinieri dei beni culturali negli Usa, dove grazie ad una donazione era finita addirittura sugli scaffali della biblioteca del Congresso a Washington, quella lettera di Colombo torna finalmente a casa, prima a Roma poi a Firenze, restituita con tutti gli onori dagli americani.

“Una giornata simbolo”, sorridono insieme il ministro Franceschini e l’ambasciatore Usa in Italia John R. Phillips, “un fatto che segna l’amicizia e la totale collaborazione che c’è tra i Paesi”.

Le indagini sono ancora in corso, anche perché nelle more dell’inchiesta è venuto fuori che un’altra copia della stessa lettera è stata rubata e sostituita alla Biblioteca Nazionale di Roma. Forse per questo gli investigatori sono avari di particolari.

Ma la vicenda è fascinosa e intricata, almeno quanto la lunga missiva – quattro pagine in spagnolo poi tradotte in latino per le prime stampe fatte in quello stesso anno – che Colombo spedì a Ferdinando D’Aragona e Isabella di Castiglia.

E per arrivare al recupero è servita anche l’esperienza messa a frutto con lo scempio dei Girolamini. Nessuna ipotesi ufficiale sulla data del trafugamento, e nemmeno sugli autori di un colpo messo a segno così bene da non essere scoperto per anni.

“L’unica certezza è che la copia restituita dagli Usa è certamente quella autentica”, allarga le braccia il direttore della Riccardiana Fulvio Silvano Stacchetti. A scoperchiare il vaso, racconta il comandante dei carabinieri Tpc Mariano Mossa, è stata una denuncia di furto partita dalla Biblioteca Nazionale di Roma. Niente a che fare con Colombo, ma è da lì che gli investigatori si accorgono che la copia della lettera del navigatore custodita dalla biblioteca romana potrebbe essere falsa.

E’ così che parte il controllo sulla copia di Firenze e si arriva agli esami di laboratorio fatti dagli esperti del Racis. Altro che originali, le due lettere, racconta il generale, risultano false, “riproduzioni fotografiche moderne stampate su carta antica, ma incompatibile rispetto alla data del 1493”.

Diverso il formato dei fogli, postuma e grossolana la rilegatura, addirittura una “stampa eseguita con fotocopiatrice” con aggiunte a matita e a penna.

La pista punta subito al mercato americano. I carabinieri collaborano con i colleghi dell’Hsi, il servizio di investigazione Usa. E si scopre che l’incunabolo di Firenze, esemplare che risale all’editio princeps, valutato 1 milione di euro, è stato venduto all’asta a New York nel 1992 e acquistato da un privato per 400 mila dollari.

Dopodiché, probabilmente grazie ad un lascito testamentario, il documento è arrivato alla Biblioteca del Congresso americano, che, una volta appurata la provenienza illecita, l’ha restituito.

Ora si cerca la copia romana. E resta la curiosità di capire di più su tempi e modi. Il direttore della Riccardiana è convinto che ladri e falsari non abbiano agito nella sala manoscritti della sua biblioteca: “Lo escludo nel modo più assoluto”, si accalora il funzionario. Che ricorda per il documento un’unica trasferta di oltre sessant’anni fa, quando il volume venne inviato a Roma, proprio alla Nazionale, dal 28 luglio 1950 al 5 aprile del ’51.

Il fattaccio potrebbe essere avvenuto lì? Nessuno si sbilancia, tanto meno gli investigatori. Tant’è, la storia misteriosa della lettera di Colombo perduta e ritrovata, conclude Franceschini, “dimostra ancora di più che bisogna tenere alto il livello di attenzione”. E che l’impegno, in anni di terrorismo su scala mondiale, “deve essere condiviso tra Paesi”. “Il valore sta crescendo, ci sono mercati nuovi”, avverte.

Il pensiero va alle immagini shock di Ninive distrutta dalle ruspe dell’Isis: “Lì, a telecamere spente, il patrimonio viene venduto per finanziare il terrorismo”.

(di Silvia Lambertucci/ANSA)

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