Aumento degli stipendi ai minimi dal 1982. Vendite in calo

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ROMA. – I prezzi in deflazione non bastano a ridare slancio ai consumi, ma fanno sentire i loro effetti sulle buste paga. Gli ultimi dati Istat sanciscono la crescita zero delle vendite al dettaglio nel primo trimestre rispetto al trimestre precedente e l’aumento delle retribuzioni più basso mai registrato in 34 anni di serie storiche, dal 1982.

Ad aprile, infatti, i compensi orari vedono una mini-crescita tendenziale dello 0,7%, segnando un nuovo minimo storico dopo lo 0,8% toccato a gennaio. Questa dinamica salariale ostacola i consumi che, a marzo, tornano in calo dello 0,6% in valore rispetto a febbraio.

Rispetto al 2015 l’andamento resta comunque positivo, in aumento del 2,2%, grazie alla spinta degli acquisti alimentari (che crescono del 3,7%) e delle vacanze pasquali, cadute con un mese di anticipo.

Risulta migliore la situazione dei servizi in generale, in espansione dello 0,3% nel primo trimestre rispetto al periodo precedente, trainati da commercio all’ingrosso e trasporto aereo.

L’ufficio studi di Confcommercio legge negli ultimi indicatori congiunturali “un leggero rallentamento dell’attività economica” mentre, per il futuro del commercio al dettaglio, Federdistribuzione indica che non ci sono segnali positivi fino alla metà di maggio.

“Con questi ritmi, ci vorranno cinque anni per tornare ai livelli del 2009”, commenta Confesercenti ricordando che i piccoli negozi continuano a chiudere a un ritmo di più di mille al mese.

Più ottimista, la Coldiretti, indica che le vendite al dettaglio per i prodotti alimentari aumentano su base annua in tutte le forme distributive dai discount (+4,6%) alle piccole botteghe (+2,8%). Per una volta, le associazioni dei consumatori si schierano al fianco dei negozianti, con il Codacons che osserva come “il commercio continua a soffrire e i consumi non ripartono, a dispetto delle attese” e chiede misure per il settore.

La fuoriuscita dalla crisi, per Federconsumatori e Adusbef, è “ancora lunga e incerta. Un percorso fatto di molti ostacoli”. “Fino a che gli stipendi restano al palo le famiglie non ce la faranno ad arrivare alla fine del mese e i consumi resteranno congelati”, conclude l’Unione nazionale consumatori spronando il governo a rinnovare i contratti della pubblica amministrazione.

Su 8,3 milioni di persone in attesa del rinnovo, secondo i dati Istat, circa 2,9 milioni lavorano infatti nel pubblico impiego, che sconta da sette anni il blocco della contrattazione. Hanno il contratto scaduto complessivamente oltre sei dipendenti su dieci (il 64,1%) e l’attesa media per il rinnovo, calcolata sul totale dei lavoratori, supera i due anni, toccando il valore record di 24,3 mesi (erano 20,5 un anno fa).

L’importanza dei rinnovi dei contratti per contrastare la deflazione è stata sottolineata di recente dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Visco ha detto che in alcuni degli ultimi rinnovi “si prevede che una parte dei futuri aumenti salariali sia rivista al ribasso nel caso in cui l’inflazione scenda al di sotto delle attuali previsioni” e che questo schema, se adottato in maniera generalizzata, abbasserebbe “significativamente” il tasso di crescita dei salari finendo per pesare su un’inflazione già negativa.

(di Chiara Munafò/ANSA)