Osa, il riconoscimento della crisi in Venezuela

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Caos. E’ questa, forse, l’unica parola per descrivere l’attuale congiuntura politica del Paese; una realtà che ha profonde conseguenze sull’economia e sulla qualità di vita del venezuelano. Caos nell’ambito internazionale e, ancor più, in quello nazionale.

Il Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani, Luis Almagro, nell’ultima sessione dell’organismo ha chiesto l’applicazione della “Carta Democratica” per il Venezuela. La clausola fu approvata nel 2001 per evitare che si ripetessero fatti come quelli accaduti nel Perù di Fujimori, nel 1992. Ovvero, che un governo con una profonda vocazione autoritaria potesse dissolvere il Parlamento, sospendere la Costituzione e istituire una dittatura.

Nel suo rapporto, Almagro ha esposto alcune delle caratteristiche della realtà politica venezuelana: l’inesistenza oggi in Venezuela della separazione dei poteri pubblici, quella indipendenza dei poteri che Montesquieu, ne “Lo spirito delle Leggi” pubblicato anonimamente nel 1748, difendeva considerandola la premessa fondamentale per una democrazia sana e forte;

l’impossibilità del Parlamento di legiferare per l’intervento puntuale dell’Alta Corte che ne abroga ogni legge con la giustificazione di incostituzionalità, intromissione, questa, che mortifica, dissolvendolo “di fatto”, uno dei poteri pubblici che è espressione della volontà del popolo manifestata attraverso il voto segreto e universale;

la presenza di prigionieri politici, eufemisticamente definiti dal Governo “politici in carcere”, nonostante la pressione internazionale e l’indignazione di organismi supra-nazionali;

l’estrema lentezza del Consiglio Nazionale Elettorale nel controllo delle firme raccolte dall’opposizione per attivare il Referendum Revocativo, meccanismo democratico per destituire il capo dello Stato e indire nuove elezioni se realizzato entro i termini stabiliti dalla Costituzione;

e i “decreti di emergenza economica” che hanno permesso fin dall’inizio dell’anno al presidente Maduro di Governare senza sottomettersi all’esame di altri poteri pubblici, come hanno fatto prima di lui e dell’estinto presidente Chàvez tutti i capi di Stato eletti democraticamente dall’insurrezione del 1958 ad oggi.

Dopo mesi di “polemiche a distanza” e di “botta e risposta” anche assai acidi con il governo del Presidente Maduro, Luis Almagro, Segretario Generale dell’Osa, ha deciso di rompere gli indugi e di invocare la “Carta Democratica”.

Il suo gesto era atteso ma, non per questo, ha sorpreso meno. Lo ha fatto soprattutto perché il suo rapporto sulla situazione del Venezuela accompagnato dalla richiesta dell’applicazione della “Carta Democratica”, è stato presentato nel momento in cui Josè Luis Zapatero, Leonel Fernández y Martín Torrijos, con il beneplacito dell’Unasur, realizzavano l’ennesimo tentativo di promuovere il dialogo tra Governo e Opposizione.

Il presidente della Repubblica, Nicolás Maduro, ha interpretato la dichiarazione assai timida dei paesi dell’Osa, nel conclave di mercoledì scorso, come un trionfo del suo Governo. In sintesi, la diplomazia dell’organismo sembrerebbe suggerire il dialogo tra le parti e frenare le aspirazioni di Almagro che ha chiesto l’applicazione della “Carta Democratica”.

Una sconfitta dell’Opposizione e un trionfo del Governo in questo primo incontro? Può sembrare strano, ma in realtà nessuna delle due parti può parlare né di trionfo né di sconfitta. L’Opposizione può considerarsi soddisfatta per aver portato il “caso Venezuela” all’Osa e aver obbligato i Paesi dell’emisfero a discuterne; il Governo, dal canto suo, può sentirsi appagato per aver superato un ulteriore esame.

Il governo sa che in realtà l’applicazione della “Carta Democratica” nel caso del Venezuela sarà discussa tra il 10 e il 20 giugno. E cioè, in una prossima riunione dell’Osa, in data ancora da stabilire. Ma non importa, perché giocando sull’equivoco e facendo leva sul potere propagandistico dei mass media pubblici, ha creato in molti venezuelani, soprattutto tra coloro che non seguono i media indipendenti, una matrice d’opinione a sé favorevole.

Se non impossibile assai arduo. Sarà molto difficile che si applichi la “Carta Democratica” nel caso del Venezuela; lo sarà poiché per la sua attuazione sarebbero necessari i voti favorevoli di almeno 18 paesi. Determinanti sono i voti delle nazioni centroamericane, che dipendono economicamente dal petrolio venezuelano.

Da rilevare, comunque, che la Carta Democratica è l’”ultima spiaggia”. E l’Osa, prima di applicarla come fece nel 2002, durante la crisi venezuelana, e nel 2009, in occasione di quella in Honduras,
cercherà di esplorare tutti i cammini possibili.

Non deve meravigliare, quindi, l’atteggiamento dell’Argentina. Il presidente Macri, durante la campagna elettorale, si è schierato a favore dell’Opposizione per un calcolo politico. Ora che è al governo, com’è comprensibile, deve cedere la parola alla diplomazia e, suo malgrado, fare un passo indietro di fronte a interessi superiori di Stato.

L’Osa, comunque, non ha poteri punitivi, tantomeno la possibilità d’intervenire militarmente come invece potrebbe fare l’Onu. Le sue dichiarazioni hanno comunque un valore morale che, il più delle volte, sfugge al cittadino comune ma non alla diplomazia internazionale. L’applicazione della “Carta Democratica” è l’ultimo provvedimento possibile che equivale all’espulsione del Paese dall’Organismo. Di fatto, così si decreterebbe l’isolamento politico del governo ma non necessariamente l’interruzione delle relazioni economiche e commerciali tra Paesi.

Al caos internazionale, il caos nazionale. L’Opposizione, riunita nella Mud, attraversa oggi una grave crisi d’identità. Una crisi d’identità aggravata dalla mancanza di un programma d’azione comune coerente e razionale.

Pur non avendo ancora una data per il Referendum Revocativo, alcuni esponenti dell’Opposizione, nella certezza che la consulta popolare comunque castigherà il governo del Presidente Maduro, hanno già indirettamente iniziato la propria campagna elettorale in vista di una presunta, anche se poco probabile, elezione presidenziale. Per il momento, i principali protagonisti sono Henry Ramos Allup e Henrique Capriles Radonski. Il primo, dal Parlamento, il secondo dalla Governazione dello Stato Miranda.

Non due vie parallele da percorrere, ma una sola: quella del referendum. L’Opposizione, oggi, pare aver dimenticato la prossimità delle amministrative, che dovrebbero svolgersi entro l’anno. E ha posto ogni suo interesse e ogni sforzo nella realizzazione della consulta popolare. Le manifestazioni indette da Capriles Radonski, che obbliga la Mud a farle proprie, sono l’unico strumento di pressione su un organismo, il Cne, che continua a “snobbare” i rappresentanti della Mud e a posporre ogni annuncio e decisione.

Di fronte ad un’Opposizione smarrita, indebolita e divisa, il Governo preferisce non prendere l’iniziativa e continuare imperterrito lungo la via tracciata: quella del confronto. Intanto cresce il malcontento.

La manifestazione spontanea di collera nella Avenida Las Fuerzas Armadas, repressa con violenza dalla Guardia Nazionale e dai “colectivos” – bande di motociclisti armati che seminano il terrore come in Italia durante il fascismo facevano le “camicie nere” – è solo la punta dell’Iceberg.

Le proteste piccole e grandi si susseguono quotidianamente. Anche i saccheggi e i linciaggi. Sono manifestazioni di un malcontento che si espande a macchia d’olio e che, per il momento, è contenuto dalla paura.

L’incremento delle proteste, però, potrebbe obbligare il governo a decretare definitivamente provvedimenti d’emergenza, limitare le libertà e, così, aggiungere un ulteriore ingrediente di instabilità alla già esplosiva situazione del Paese. Ingredienti che potrebbero allungare i tempi di realizzazione di un probabile Referendum Revocativo.

(Mauro Bafile/Voce)