Usa 2016: Hillary nella storia, prima donna in corsa per la Casa Bianca

US Democratic Presidential candidate and former Secretary of State Hillary Clinton speaks to supporters during a campaign rally at Leimert Park in Los Angeles, California, USA, 06 June 2016. EPA/PAUL BUCK
US Democratic Presidential candidate and former Secretary of State Hillary Clinton speaks to supporters during a campaign rally at Leimert Park in Los Angeles, California, USA, 06 June 2016. EPA/PAUL BUCK
US Democratic Presidential candidate and former Secretary of State Hillary Clinton speaks to supporters during a campaign rally at Leimert Park in Los Angeles, California, USA, 06 June 2016. EPA/PAUL BUCK

NEW YORK. – “Siamo a un passo da un momento storico e senza precedenti”. Hillary Rodham Clinton è raggiante nel dare la notizia: la nomination democratica è sua. Ora nel mirino c’è solo lui: Donald Trump, costretto a difendersi anche dal fuoco amico in casa repubblicana per le sue accuse “razziste” ad un giudice.

L’annuncio arriva quando i calcoli sulla conta dei delegati tra lei e Bernie Sanders sono stati appena diffusi della Associated Press. L’ex first lady cerca di rimanere cauta, prudente: “Abbiamo ancora del lavoro da fare”. Ma non riesce a nascondere una gioia incontenibile, davanti alla folla di supporter in festa riunita a Long Beach, in California.

Comunque vada lei la storia la sta già facendo: salvo clamorose sorprese sarà la prima donna che correrà per la Casa Bianca nelle elezioni generali. Una rivincita che non ha prezzo: basti pensare che otto anni fa, proprio di questi tempi, Hillary doveva ingoiare il boccone più amaro della sua carriera politica, la sconfitta nei confronti di Barack Obama.

Ora la nomination l’ha conquistata in anticipo e con un distacco sul senatore Bernie Sanders superiore a quello che Barack le diede nel 2008. La certezza di aver raggiunto il numero di delegati e ‘superdelegati’ necessario (2.383) per essere incoronata alla convention di Filadelfia (che si svolgerà dal 25 al 28 luglio) è arrivata a sorpresa, alla vigilia dell’ultimo ‘Super Tuesday’ delle primarie.

E’ questo che ha fatto infuriare il senatore ‘socialista’ del Vermont, che fino all’ultimo sta cercando di dare battaglia all’avversaria e che molte speranze ripone nel voto in California. La diffusione in anticipo da parte dei media dei dati sulle preferenze dei ‘superdelegati’ (sono i leader del partito, compresi i membri del Congresso e i governatori in carica, che siedono di diritto alla convention) viene vista da Sanders come un colpo basso del partito, per stroncare l’affluenza alle urne nel Golden State a favore della Clinton.

“E’ spiacevole vedere come i media stiano ignorando la richiesta della commissione nazionale del partito democratico di aspettare questa estate per la conta”. Ora è da vedere se l’effetto annuncio della nomination della Clinton scoraggerà effettivamente l’afflusso di elettori fedeli a Sanders, oppure spingerà questi a reagire. Fatto sta che, comunque vada, Hillary ha oramai in tasca i numeri per guardare avanti, oltre le primarie, la cui partita è di fatto chiusa.

Sanders non rinuncia comunque a lanciare un ultimo appello su Twitter: “California, oggi puoi inviare un messaggio chiaro, che questo Paese appartiene a tutti noi e non solo a un gruppo di miliardari. Andate a votare”.

Ma a chiamare il senatore lo scorso fine settimana sarebbe stato lo stesso presidente Barack Obama che lo avrebbe vivamente invitato a non accendere di più i toni e a favorire l’unità del partito democratico contro la ‘minaccia’ Trump. Alle urne nel super martedì anche altri cinque stati: New Jersey, Montana, North e South Dakota, New Mexico.

Intanto sul fronte repubblicano tiene banco l’ennesima bufera su Trump e il suo attacco al giudice di origini messicane titolare del caso che riguarda la Trump University. L’ira dello speaker della Camera, Paul Ryan (che pure nei giorni scorsi è capitolato dicendo che appoggerà Trump) non si è fatta attendere: “Sconfesso completamente i suoi commenti, sono indifendibili, è razzismo da manuale”, ha detto in una conferenza stampa.

Poi però smorza i toni, spiegando come nonostante tutto l’agenda del partito repubblicano può essere portata avanti più col controverso tycoon che con Hillary Clinton. Anche Trump cerca di disinnescare la miccia, sostenendo di essere stato “frainteso” e di non aver voluto attaccare la gente con una eredità messicana ma rivendicando il suo diritto a sollevare la questione se sta ricevendo un processo imparziale.

Una parziale correzione di rotta che non però non basta a sedare il crescente malcontento nel suo partito: il senatore dell’Illinois Mark Kirk ha annunciato il ritiro del suo sostegno, accusando il magnate di fare commenti “contrari ai valori americani”.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)