Usa 2016: guerra di parole tra giudice della Corte Suprema e Trump

In una foto d'archivio Ruth Bader Ginsburg, nominata nel 1993 dall'allora presidente Bill Clinton.
Ruth Bader Ginsburg, 83 anni, icona liberal del massimo organo giuridico americano, nominata nel 1993 dall' allora presidente Bill Clinton
Ruth Bader Ginsburg, 83 anni, icona liberal del massimo organo giuridico americano, nominata nel 1993 dall’ allora presidente Bill Clinton

WASHINGTON. – Guerra di parole senza precedenti tra un giudice della corte suprema e un candidato presidenziale, sullo sfondo di una campagna che nei sondaggi vede Hillary Clinton perdere terreno a livello nazionale e anche negli ‘Swing State’, gli stati in bilico.

Da una parte Ruth Bader Ginsburg, 83 anni, icona liberal del massimo organo giuridico americano, nominata nel 1993 dall’allora presidente Bill Clinton. Dall’altra Donald Trump, il candidato repubblicano alla Casa Bianca. La prima lo ha attaccato ripetutamente e pesantemente in una serie di interviste inusuali per un giudice della corte suprema, definendolo un “impostore egocentrico”. Il secondo ne ha chiesto le dimissioni accusandola di essere una “disgrazia” per la corte suprema.

Questa volta la stampa ha dato ragione al magnate, anche se i giudici della corte suprema non sono soggetti ad alcun codice specifico di comportamento: sia il New York Times che il Washington Post hanno censurato nei lori editoriali la discesa in campo dell’alto magistrato, ammonendo sul pericolo di compromettere l’imparzialità della corte ed evocando come esempio quello in cui decise sull’esito delle presidenziali del 2000, decretando la vittoria di George W. Bush sul democratico Al Gore.

Cosa sarebbe successo se uno di quei giudici avesse manifestato in precedenza la sua ostilità verso uno dei due candidati? Certo, neppure Trump brilla per il rispetto dell’indipendenza della magistratura, come ha dimostrato attaccando razzisticamente il giudice ‘messicano’ che si occupa dell’inchiesta per la presunta truffa della sua ex università.

Ma la diatriba rischia di fornire munizioni al magnate, che potrebbe alimentare le sue accuse contro una giustizia faziosa e potrebbe ricusare la Ginsburg in casi che lo dovessero coinvolgere anche come eventuale presidente davanti alla Corte suprema.

Ad accendere la miccia è stato il giudice con una intervista al New York Times: “Non posso immaginare cosa sarebbe questo Paese con Donald Trump come nostro presidente. Per il Paese potrebbero essere quattro anni, per la corte potrebbe essere… non voglio neppure pensarci”, ha denunciato, immaginando che il suo defunto marito le direbbe “è il momento di trasferirci in Nuova Zelanda”.

Nella sua prima replica, Trump è stato abbastanza moderato: “Penso sia altamente inappropriato che un giudice della corte suprema americana entri nella campagna politica. Penso sia una disgrazia per la corte e che dovrebbe scusarsi con essa”.

Ma il giorno dopo la Ginsburg ha rincarato la dose con la Cnn, quasi a confermare che non si era trattata di uno scivolone: “E’ un impostore. Non ha nessuna coerenza. Dice qualsiasi cosa gli venga in mente. Ha davvero un grande ego”, ha tuonato, sollecitandolo a pubblicare la sua dichiarazione dei redditi e chiedendosi perchè la stampa non lo abbia incalzato su questo tema.

A questo punto Trump ha alzato il tiro, via twitter, e l’ha accusata di aver “messo in imbarazzo tutti con i suoi commenti molto stupidi su di me” e di essere mentalmente inadatta, chiedendone le dimissioni.

La battaglia rischia di avere ripercussioni sulla Corte Suprema, in un equilibrio paralizzato dalla mancata approvazione da parte del Congresso – dominato dai repubblicani – del sostituto nominato da Barack Obama per sostituire lo scomparso giudice conservatore Antonin Scalia.

Le convention intanto si avvicinano mentre i due candidati limano la piattaforma (quella repubblicana sta virando molto a destra), riducono la rosa dei vice (Trump lo annuncerà entro venerdì) e spulciano gli ultimi sondaggi: secondo una rilevazione McClatchy-Marist, Hillary ha visto ridursi il vantaggio nazionale su Trump dal 9% di marzo al 3% di oggi, e in base ad un altro sondaggio il tycoon la supera in due stati in bilico come la Florida (42% a 39%) e la Pennsylvania (43% a 41%) mentre in un terzo, l’Ohio, è testa a testa (41% a 41%).

Trump esulta. E declina l’invito a parlare alla Convention della Naacp, la più antica associazione per i diritti dei neri, nonostante la questione razziale sia riesplosa in questi giorni: il pretesto è la parziale coincidenza con la convention.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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