Alllarme Fbi, diaspora terroristi senza precedenti

Alllarme Fbi,diaspora terroristi senza precedenti
Alllarme Fbi,diaspora terroristi senza precedenti
Alllarme Fbi,diaspora terroristi senza precedenti

ROMA – “Ad un certo punto ci sarà una diaspora di terroristi dalla Siria come non l’abbiamo mai vista”. L’allarme lanciato al Congresso Usa dal numero uno del Fbi James Comey non sorprende affatto le intelligence europee che da tempo impiegano importanti risorse, umane ed economiche, per cercare di monitorare gli spostamenti delle decine di migliaia di combattenti che da tutto il mondo sono volati in Siria ed in Iraq per innalzare il drappo nero del Califfo.

A partire dall’inizio del conflitto, secondo diverse stime, circa 30mila persone avrebbero raggiunto la Siria e l’Iraq, provenienti da più di cento nazioni: il 60% dal Medio Oriente (con Arabia Saudita e Giordania in testa) e dal Nord Africa (principalmente da Tunisia e Marocco), mentre circa 5mila sarebbero quelli partiti dall’Europa. Molti di loro sono morti in battaglia o rientrati nei paesi d’origine e il loro numero, stando alle stime fornite a giugno del capo della Cia John Brennan, sarebbe compreso tra i 18 e i 22 mila.

Man mano che l’Isis arretra, ha spiegato Comey, questi soggetti tenteranno di rientrare nei loro paesi, facendo di fatto “aumentare sempre di più” la possibilità di attacchi come quelli di Parigi o Bruxelles. Una diaspora di terroristi c’è già stata, ha proseguito il direttore del Fbi, a cavallo degli anni ’80-’90, in coincidenza con le guerre che hanno coinvolto l’Afghanistan.

– Ma stavolta – ha ammonito – il fenomeno sarà dieci volte più grande e fermarli é persino più difficile di trovare un ago nel pagliaio.

Non è un caso, dunque, che proprio due giorni fa l’Europol aveva lanciato l’ennesimo allarme: dei cinquemila partiti dall’Unione, tra i 1.500 e i 1.800 sarebbero rientrati.

– Molti di loro non hanno voglia né capacità di compiere attentati – dicono i funzionari europei – ma restano centinaia di potenziali terroristi che costituiscono un pericolo per la sicurezza dell’Europa. Italia compresa, visto che il fenomeno dei foreign fighters, o returnees, riguarda da tempo anche il nostro paese.

Secondo le ultime informazioni degli 007, sono circa 110 quelli che in qualche modo hanno avuto a che fare con l’Italia e, di questi, meno di 20 sono italiani. Soggetti su cui l’attenzione di intelligence e antiterrorismo è ovviamente massima poiché si tratta di persone preparate militarmente, potenzialmente in grado di costituire cellule terroristiche strutturate – di cui al momento non ci sono evidenze – e di realizzare attacchi importanti.

Nessuno di loro sarebbe al momento rientrato nel nostro paese ma è evidente che il monitoraggio è costante e non si limita ai soggetti partiti per i fronti di guerra: tutta la rete di contatti e i legami che i combattenti hanno lasciato in Italia, così come gli ambienti più vicini al radicalismo estremista dove questi soggetti potrebbero trovare appoggi, viene tenuta sotto stretta osservazione.

Per intercettare gli eventuali rientri, ma anche per cercare di bloccare eventuali ‘lupi solitari’, l’altra minaccia che più preoccupa i nostri 007 ma decisamente più difficile da prevedere rispetto al ritorno dei foreign fighters, l’Aisi – ha spiegato proprio ieri al Copasir il direttore Mario Parente – ha ‘ritarato’ il suo dispositivo informativo, potenziando in maniera capillare la rete di ‘sensori humint’, cioè di informatori sul terreno.

In modo da captare in tempo ogni possibile segnale di rischio. Perché, come hanno dimostrato ampiamente gli attentati di Nizza e in Germania, ai returnees vanno aggiunti quelli che il presidente del Copasir Giacomo Stucchi ha definito “internal fighters”, i combattenti nati e cresciuti in casa che con le loro azioni potrebbero scatenare non solo episodi di emulazione ma una vera e propria competizione tra chi realizza l’attentato con più vittime.