Strage di Brescia: giudici, fu opera della destra eversiva

Strage Brescia: giudici, fu opera della destra eversiva
Strage Brescia: giudici, fu opera della destra eversiva
Strage Brescia: giudici, fu opera della destra eversiva

MILANO. – Quella strage che alle 10 e 12 del 28 maggio del ’74 causò otto morti e oltre cento feriti durante una manifestazione antifascista in piazza della Loggia a Brescia è “sicuramente riconducibile” alla “Destra eversiva”. Va inoltre inquadrata “nell’attività di riorganizzazione delle frange più estreme delle forze eversive di destra nel periodo immediatamente precedente la strage per bloccare con metodi violenti i fermenti progressisti in atto nella società civile e destabilizzare il sistema politico attraverso azioni terroristiche eclatanti”.

In questo quadro assume un ruolo centrale il medico veneziano Carlo Maria Maggi, all’epoca ispettore di Ordine Nuovo per il Triveneto, che i giudici della Corte d’assise d’appello di Milano hanno condannato all’ergastolo e a tre anni di isolamento diurno con l’ex collaboratore del Sid, Maurizio Tramonte nel luglio di un anno fa.

Ora le motivazioni spiegano che “tutti gli elementi evidenziati convergono inequivocabilmente nel senso della colpevolezza”, di Maggi che aveva maturato la consapevolezza di poter contare sull’appoggio di appartenenti ai servizi di sicurezza, “attraverso le molteplici riunioni preparatorie anche con militari italiani e americani”.

Il medico “era l’unica figura che, all’epoca dei fatti, coniugava a un tempo: l’ideologia stragista, il fervente instancabile attivismo per riorganizzare in Ordine nero gli orfani del dissolto Ordine nuovo”, e ‘i cani sciolti’ dell’estremismo neo fascista”.

Aveva, inoltre, “la disponibilità di gelignite, esplosivo utilizzato per il confezionamento dell’ordigno fatto esplodere in piazza della Loggia”, e poteva disporre “di un armiere con le capacità tecniche di Digilio (Carlo ritenuto l’armiere di O.N. ndr) per confezionare l’ordigno o per intervenire alla bisogna”.

Tra quanto dichiarato da “Zio Otto”, come era chiamato Digilio, e da Tramonte (la cui ritrattazione non è stata ritenuta credibile) non vi sono “insanabili divergenze”; anzi, il fatto che non si conoscessero, in quanto ebbero percorsi politici diversi, avvalora quanto hanno raccontato e le differenze attengono la fase esecutiva della strage mentre il processo riguarda il “mandante di un reato dell’organizzazione assai complessa nel cui ambito generale la materiale collocazione dell’ordigno rappresenta un minus”.

Digilio quindi non inventa nulla neanche quando parla della pista milanese: “Le Sam (Squadre d’azione Mussolini) – sottolinea il presidente Anna Conforti – non erano organismi estranei a Ordine nuovo, il quale aveva ascendente anche sulle formazioni milanesi”.

E le varie sentenze di assoluzione, anche del milanese Cesare Ferri “non hanno dissipato del tutto i dubbi di un apporto ‘milanese’ all’esecuzione”.

La Cassazione, poi, metterà la parola fine su una vicenda che costituisce l’ultimo spiraglio per cercare la verità su quegli anni della “strategia della tensione”, e i giudici milanesi non nascondono la loro amarezza quando scrivono che lo studio della mole di atti porta ad affermare che “anche questo processo, come altri in materia di stragi, è emblematico dell’opera sotterranea portata avanti con pervicacia da quel coacervo di forze di cui ha parlato Vinciguerra (ex ordinovista che si è assunto la responsabilità della strage di Peteano, ndr).

Forze, secondo i magistrati, “individuabili con certezza in una parte non irrilevante degli apparati di sicurezza della Stato, nelle centrali occulte di potere che hanno prima incoraggiato e supportato lo sviluppo dei progetti eversivi della Destra estrema e hanno sviato poi, l’intervento della Magistratura, di fatto rendendo impossibile la ricostruzione dell’intera rete di responsabilità”.

Ergastolo per Maggi e Tramone, quindi, “mentre altri, parimenti responsabili, hanno da tempo lasciato questo mondo o anche solo questo Paese, ponendo una pietra tombale sui troppi intrecci che hanno connotato la mala-vita, anche istituzionale, dell’epoca delle bombe”.

(di Manuela Messina e Stefano Rottigni/ANSA)