Brexit: qualche profezia negativa non si avvera. Ma i pericoli restano

Una strada imbandierata con l'Union Jack. Brexit. May
Premier tratta sul futuro e corteggia la City. (ODD ANDERSEN/AFP/Getty Images)
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LONDRA. – La Brexit ancora non c’è, ma alcuni effetti già si vedono: talora allarmanti, in altri casi meno di quanto i sostenitori di Remain avessero pronosticato in campagna referendaria. E anzi, almeno per qualcuno, s’intravedono persino conseguenze positive: è il caso di chi esporta, ad esempio, come testimoniano i dati diffusi, a due mesi esatti dal referendum del 23 giugno favorevole al divorzio da Bruxelles, dalla Cbi (la Confindustria britannica) nel suo Industrial Trends Survey, rapporto periodico sull’economia del Regno Unito.

Emerge che gli ordini dall’estero hanno raggiunto il massimo degli ultimi due anni, dopo la flessione della sterlina seguita al voto sull’Ue. E a guadagnare pare soprattutto il settore chimico, che vede un forte aumento della domanda da altri Paesi.

Per Anna Leach, capo economista di Cbi, è un segnale confortante sebbene vada ricordata l’altra faccia della medaglia: il fatto che i produttori pagano di più le materie prime. Ulteriori dati incoraggianti, a dispetto di qualche ‘profezia’ nera, vengono dalle vendite al dettaglio in Gran Bretagna, cresciute a luglio dell’1,4% (ben oltre le attese) anche sulla spinta dei turisti invogliati a spendere dal cambio meno sfavorevole.

Allo stesso tempo sembrano non avverarsi talune delle previsioni più fosche fatte in campagna elettorale dal fronte pro Ue, quanto meno fra quelle che evocavano scossoni immediati. In particolare non trova conferma la ‘minaccia’ dell’ex cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, d’una situazione tale da imporre una manovra correttiva d’emergenza lacrime e sangue già in autunno, a colpi di tagli e tasse.

Non che le incertezze si siano dissolte. Ma al momento il nuovo governo di Theresa May esclude di dover ricorrere a misure estreme e si limita ad affidarsi all’intervento tempestivo e consistente (ma limitato) della Bank of England (BoE), che ha ridotto i tassi d’interesse al nuovo record dello 0,25% e rimpinguato il ‘quantitative easing’ con titoli di Stato per 60 miliardi da riacquistare nei prossimi sei mesi.

Il governatore Mark Carney spera di scongiurare così le ombre d’una recessione. Ha tuttavia ammesso che “un rallentamento” dell’economia resta all’orizzonte, con disoccupazione più alta e calo del valore degli immobili fino a tutto il 2017, e che ci vorrà “tempo” per venire a capo dei contraccolpi in atto e di quelli prevedibili per il futuro: tanto più che l’impatto ad oggi è stato quasi solo psicologico e che i negoziati per l’uscita vera a propria dall’Ue (attesa forse per fine 2018, ma più probabilmente rinviata almeno al 2019 stando all’ultimo ‘rumor’) non sono neppure al via, in mancanza dell’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona.

Intanto c’è chi non si fida della relativa bonaccia di queste settimane estive, immaginando che le mosse della BoE possano rivelarsi presto insufficienti. Secondo Countrywide, è il settore immobiliare, vitale per l’economia del Paese, a preoccupare: un calo medio dei prezzi dell’1% è già dato per scontato per l’anno prossimo ovunque salvo che in Scozia. E solo se tutto andrà bene si stima che alla fine del 2017 e nel 2018 i proprietari possano tornare a vedere il sole. In un panorama più generale rimangono poi aperte incognite di lungo periodo su terreni come quello della disoccupazione.

Gli ultimi dati sono buoni: fra aprile e giugno il tasso è sceso ancora, al 4,9%, mentre a luglio sono calate le richieste di sussidi pubblici. Ma il vero effetto strutturale della Brexit su lavoro, produzione e commercio andrà proiettato nei mesi. Meglio, negli anni.

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