Primo settembre, Caracas militarizzata

Primo settembre, Caracas militarizzata
Primo settembre, Caracas militarizzata
Primo settembre, Caracas militarizzata

Mauro Bafile

Mancano pochi giorni al primo settembre. Nel frattempo, Governo e Opposizione si affrontano in una guerra di dichiarazioni che non concede spazio al dialogo. Il presidente della Repubblica, Nicolás Maduro, il vicepresidente del Psuv, Diosdado Cabello, il Sindaco di Caracas, Jorge Rodríguez e altri esponenti dell’Esecutivo e del partito di governo, in tono assai brusco e intimidatorio insistono sulla presunta strategia “golpista” dell’Opposizione.

In altre parole, sull’intenzione dei partiti riuniti nella Mesa de la Unidad (MUD) di ricreare le condizioni che, nel lontano 2002, provocarono un conato d’insurrezione popolare, represso col sangue dall’estinto presidente Chávez, e un tentativo di colpo di Stato durato fortunatamente appena poche ore.

Per contrastare le presunte intenzioni dell’Opposizione, il governo del presidente Maduro ha deciso di applicare un dispositivo di sicurezza che, nella pratica, si è tradotto nella militarizzazione della capitale. Posti di blocco, mezzi anfibi collocati in zone considerate strategiche (specialmente all’entrata della città e nei quartieri commerciali di classe media), costante vigilanza di poliziotti e Guardia Nazionale in moto.

Le strade non sono più pattugliate solamente dalla Polizia Bolivariana, ma anche, appunto, dalla Guardia Nazionale e dall’Esercito. Particolarmente attiva è la Guardia Nazionale che oltre al controllo dell’ordine pubblico è impiegata nei supermarket e piccoli negozi di generi alimentari per evitare i conati di saccheggio.

La loro presenza è sempre più vistosa, soprattutto perché da qualche settimana si presenta in tenuta antisommossa, completa di fucili per i lanci di bombe lacrimogene e di pallottoloni di gomma. Una presenza, alla porta dei supermarket, che alimenta l’inossidabile ironia del venezuelano che non perde occasione per ridicolizzare anche un corpo di polizia militarizzata assai rispettata in altri tempi.

Dal canto suo, l’Opposizione non perde occasione per ripetere che la “Toma de Caracas” sarà una manifestazione pacifica e che le presunte intenzioni di “golpe” solo esistono nella fantasia del governo, che vede ormai fantasmi ovunque. Gli esponenti del Tavolo dell’Unità, poi, sottolineano che il sostegno popolare che il primo anno aveva accompagnato il “Governo Maduro” è ormai “acqua passata”.

E, stando ai sondaggi, ragioni non gli mancano. In effetti, la popolarità del governo del presidente Maduro è oramai ai minimi storici. I venezuelani apparentemente non credono più alle sue promesse e a quelle dei leader del “chavismo” anche se manifestano diffidenza nei confronti di un’opposizione che, per tanti versi, rappresenterebbe il ritorno a un passato indesiderato.

Fa da corollario alle tensioni createsi in questi giorni, la notizia della presunta chiusura di alcune stazioni della metropolitana nei quartieri dell’est di Caracas – giustificata dalla necessità di realizzare la manutenzione delle istallazioni – proprio nei giorni a cavallo della “Toma de Caracas”; e l’intervento delle forze dell’ordine che hanno proibito al corteo di rappresentanti indigeni, oltre un migliaio, che erano partiti a piedi dallo Stato Amazonia per raggiungere la capitale e partecipare alla manifestazione del 1 settembre, di attraversare alcuni ponti dello Stato Apure per continuare il loro cammino verso Caracas.

Governo e Opposizione, oggi, fanno leva sul desiderio dei venezuelani di un cambiamento. Per il momento, le loro sono solo promesse. Ma i venezuelani, per troppi anni ingannati con promesse mai realizzate, sono diffidenti.

Non mancano, poi, le minacce. Il Governo mette in guardia sui pericoli di un ritorno al passato e la conseguente perdita delle conquiste ottenute; l’Opposizione, dal canto suo, illustra i rischi che rappresenta continuare con un sistema di governo che ha provocato la crisi economica e la conseguente perdita di potere acquisitivo.

Mentre la polemica politica pare non aver fine e la radicalizzazione del conflitto non offre spazi al dialogo, se non a quello di frange considerate dissidenti dal chavismo e dal Tavolo dell’Unità, la delinquenza continua a seminare il terrore. La massiccia presenza di polizia, Guardia Nazionale ed Esercito in strada non ha provocato una riduzione della criminalità.

Non esistono cifre ufficiali. E’ vero. Le forze dell’Ordine, per disposizione espressa del Governo, non rendono noto né il numero dei delitti né le caratteristiche di questi. Ma non pare che vi siano dubbi sull’incremento degli omicidi e dei sequestri. L’Obitorio della capitale, nel quartiere di Bello Monte, è stato recintato così da evitare che gli occhi indiscreti dei giornalisti potessero raccontare la tragedia che vive ogni giorno chi deve reclamare il corpo senza vita di un figlio, di un marito o di un parente. D’altro canto, i sequestri, se ci si attiene dalle testimonianze delle vittime e degli esperti, sono il pane quotidiano.

Omicidi e sequestri, ormai, ricevono gli onori della cronaca solo quando si tratta di “vittime eccellenti”. Ad esempio, l’impiegato dell’Ambasciata spagnola, vivo per miracolo dopo essere stato ferito da un colpo di pistola a seguito di un tentativo non si sa bene se di rapina o di sequestro, con relativa sparatoria; o il funzionario dell’Ambasciata russa, il maggior alleato internazionale del governo, per la cui liberazione sono stati pagati, pare, oltre 20mila dollari.

Numeri ufficiali di sequestri non ve ne sono ma, stando alle cifre non ufficiali, sarebbero oltre 2.000 l’anno. Una cifra da capogiro anch’essa in aumento. Quello dei sequestri si è trasformato in un “affare” redditizio sia per chi sequestra sia per chi si è specializzato nel “negoziare” con i malviventi.

Caracas continua ad essere, con 120 omicidi su 100mila abitanti, la città più violenta al mondo, nonostante gli sforzi della polizia. Stando all’autorevole “Osservatorio Venezuelano della Violenza”, il 2016 potrebbe chiudersi con oltre 30 mila morti a causa della violenza. Lo scorso anno furono 27mila 875. Si stima che dal 1999 ad oggi la malavita abbia fatto 285mila vittime.

Solo il mese scorso, stando a indiscrezioni, sarebbero stati registrati nell’Obitorio di Bello Monte 535 vittime della violenza. Nei primi sette mesi dell’anno i morti sarebbero quasi 3mila 400. Sono, tutte queste, cifre da capogiro, mentre la crisi economica del paese si fa sempre più acuta e alimenta il desiderio di denaro facile.

La recessione, che quest’anno farà registrare un Pil negativo di oltre il 10 per cento, l’inflazione che, si calcola, potrebbe raggiungere a fine anno anche il 900 per cento, illustrano quanto grave sia la situazione del paese e la necessità di un giro di boa nelle politiche del governo.

Questo panorama preoccupante, dovrebbe consigliare a Governo e Opposizione una pausa per analizzare soluzioni razionali e credibili. Ma non è così. Il Governo, che in questo momento avrebbe il potere di determinare il futuro del paese, insiste nel denunciare l’esistenza di una poco credibile guerra economica e prosegue nella sua politica che, stando a industriali e organizzazioni operaie, sta distruggendo il tessuto produttivo del Paese. Alcuni analisti attribuiscono l’incapacità del governo di proporre nuove politiche alla profonda crisi che vive il Psuv e, in generale, tutto il “chavismo”.

Il Tavolo dell’Unità, contrariamente a quanto afferma il suo nome, stenta a controllare l’arcipelago di partitini e piccoli movimenti che lo compongono e trova l’unità solo su obiettivi precisi e congiunturali ma non su un programma di governo ben strutturato; un programma credibile che potrebbe essere assunto come unica alternativa per il Paese.

A tutto questo, poi, è necessario sommare l’antagonismo tra “Tribunal Supremo de Justicia” e Parlamento. Quest’ultimo, eletto democraticamente dalla stragrande maggioranza dei venezuelani, è oggi privo di ogni potere. Per analisti internazionali, quanto sta avvenendo con l’Assemblea nazionale è l’equivalente di un “colpo di Stato” di cui si starebbe macchiando il Governo.

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