Presidente Filippine shock: “Obama figlio di p…”

L'ira di Duterte è per quelle che definisce le interferenze di Washington sugli affari interni di Manila. Ma per la stampa Usa stavolta il controverso neopresidente ha superato il segno. Le sue parole rischiano di provocare un incidente diplomatico
L'ira di Duterte è per quelle che definisce le interferenze di Washington sugli affari interni di Manila. Ma per la stampa Usa stavolta il controverso neopresidente ha superato il segno. Le sue parole rischiano di provocare un incidente diplomatico
L’ira di Duterte è per quelle che definisce le interferenze di Washington sugli affari interni di Manila. Ma per la stampa Usa stavolta il controverso neopresidente ha superato il segno. Le sue parole rischiano di provocare un incidente diplomatico

NEW YORK. – “Obama figlio di p…., te la farò pagare”. Rodrigo Duterte, neo presidente delle Filippine, non smentisce la sua fama di ‘duro’ e di nemico del politicamente corretto, quella che gli è valsa il soprannome di ‘Castigatore’ o di ‘Trump delle Filippine’. Ma nemmeno il tycoon è mai arrivato a insultare così pesantemente il presidente americano.

L’ira di Duterte è per quelle che definisce le interferenze di Washington sugli affari interni di Manila. Ma per la stampa Usa stavolta il controverso neopresidente ha superato il segno. Le sue parole rischiano di provocare un incidente diplomatico senza precedenti tra gli Stati Uniti e lo stato alleato delle Filippine, proprio alla vigilia del vertice dell’Asean in Laos a margine del quale è in programma un faccia a faccia tra i leader dei due Paesi.

Un incontro che ora potrebbe clamorosamente saltare, con Obama che ha chiesto al suo staff di valutarne l’opportunità. Dicendosi disponibile a incontrare Duterte solo se ci sono le condizioni per un “confronto costruttivo e produttivo”.

L’uscita shock del presidente filippino è legata alle tensioni cresciute nelle ultime settimane in cui – proprio in vista del bilaterale tra Obama e Duterte – l’amministrazione Usa non ha mancato di denunciare i metodi da giustizia sommaria con cui il nuovo governo di Manila sta portando avanti la lotta alla droga.

Duterte in campagna elettorale aveva promesso il pugno di ferro, ma quello che sta avvenendo sembra essere un vero e proprio bagno di sangue. In due mesi il numero delle vittime uccise dall’azione dell’esecutivo avrebbero superato già le duemila: basta essere sospettati per essere ‘giustiziati’, denunciano le associazioni per la difesa dei diritti umani che chiedono il rispetto dello stato di diritto e lo svolgimento di regolari processi.

La situazione è stata già più volte stigmatizzata dalle Nazioni Unite e dall’ambasciatore americano a Manila, a loro volta oggetto delle invettive di Duterte che ha bollato l’Onu come istituzione “inutile” minacciando l’uscita delle Filippine. E insultando il diplomatico Usa definito a sua volta “gay figlio di p….”.

Insomma, un leader senza freni che sta mettendo in difficoltà soprattutto Washington, preoccupata dal perdere un partner prezioso in una delle aree geopolitiche più delicate del pianeta. Quel sudest asiatico dove gli Usa stanno cercando in tutti i modi di serrare le fila degli alleati per contrastare la spinta espansionistica della Cina.

Obama, parlando alla conferenza stampa conclusiva del G20 cinese e prima di partire per la capitale del Laos Vientiane, ha comunque ribadito che se il faccia a faccia con Duterte si farà non c’è dubbio che sul tavolo ci sarà anche il tema delle esecuzioni sommarie.

Mentre per il presidente filippino – come lui stesso ha ribadito imbarcandosi per il Laos – gli Stati Uniti non hanno alcun diritto di mettere in discussione quello che fanno gli altri Paesi. Soprattutto – è il suo ragionamento – di fronte al fatto che gli Usa non hanno mai chiesto scusa per l’aggressione durante la colonizzazione americana delle Filippine.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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