Usa 2016: sprint per il voto, Hillary e Trump testa a testa

Usa 2016: sprint per voto, Hillary-Trump testa a testa
Usa 2016: sprint per voto, Hillary-Trump testa a testa
Usa 2016: sprint per voto, Hillary-Trump testa a testa

WASHINGTON. – Inizia con un testa a testa lo sprint finale per la Casa Bianca, mentre il dibattito vira dall’immigrazione alla sicurezza nazionale. A nove settimane dall’election day, Hillary, perseguitata e indebolita dallo stillicidio dell’Emailgate (ultima indiscrezione la distruzione con un martello di due apparecchi mobili), sembra aver perso il suo ampio vantaggio su Donald Trump.

Il candidato presidenziale repubblicano supera addirittura di due punti la rivale (45% a 43%) in un sondaggio nazionale della Cnn all’indomani del Labor day, che segna la fine dell’estate ma anche, negli anni di elezioni, il rettilineo finale prima del traguardo. E, cosa ancora più sorprendente, il magnate è ritenuto più onesto e degno di fiducia della Clinton (50% contro il 35%).

Ma i sondaggi nazionali servono solo a capire che aria tira e paradossalmente in passato alcuni candidati hanno perso pur avendo raccolto la maggioranza delle preferenze. La matematica elettorale favorisce invece Hillary, anche se restano sempre alcune incognite, come un possibile dibattito fallimentare, un attacco terroristico, rivelazioni bomba (già annunciate) di Wikileaks.

Secondo un sondaggio del Wp stato per stato, più indicativo perchè aderente alla modalità del voto, la candidata democratica ha già in tasca 244 voti sui 270 necessari, mentre Trump ne ha solo 126: 168 sono contesi, ma per vincere all’ex segretario di stato basterebbe aggiungere solo la Florida, dove sta facendo campagna, oppure altri due o tre stati.

In una competizione a due, Hillary guida di quattro punti o più in 20 stati, oltre al distretto di Columbia (quello della capitale). Anche Trump guida di almeno 4 punti in 20 stati (prevalentemente quelli centrali), il cui bottino di voti però si ferma a 126. Nei restanti 10 stati, che mettono in palio complessivamente 168 voti, nessuno dei due candidati ha un margine di vantaggio affidabile.

Ma il tycoon fatica dove i Repubblicani hanno vinto regolarmente, ad esempio in Arizona e Georgia, ma pure in Texas, vera sorpresa del sondaggio. Hillary conta inoltre su altri vantaggi: ha il triplo dei comitati di Trump negli stati in bilico (291 in 15 stati, contro gli 88 di Trump) e nelle ultime due elezioni i democratici sono stati più abili nel portare a votare in anticipo per posta moltissimi elettori, riducendo la possibilità di rimonta dell’avversario. Infine, a suo favore stanno scendendo in campo con le prime iniziative individuali Barack Obama (il 13 settembre a Filadelfia) e Michelle (il 16 settembre in Virginia).

Dopo le continue convulsioni sull’immigrazione clandestina, ‘The Donald’ ha giocato una carta per accreditarsi come commander in chief, alla vigilia di un forum su Msnbc cui parteciperanno entrambi i candidati: una novantina di generali in congedo (alcuni dal passato controverso) hanno firmato una lettera nella quale danno il loro endorsement al candidato repubblicano chiedendo una “correzione molto tardiva della direzione nella nostra postura sulla sicurezza nazionale”.

Hillary gli ha risposto lanciando uno spot intitolato “Sacrificio” che fa appello ai veterani e ironizza sulle gaffe “militari” del rivale. Botta e risposta a distanza anche sulle condizioni di salute. In un tweet Trump ha criticato i media per non indagare sul forte attacco di tosse di Hillary, oggetto di speculazioni sul web. “Allergia, ma ora sto meglio”, ha spiegato l’ex first lady rispondendo a varie domande per una ventina di minuti ai giornalisti che per la prima volta hanno viaggiato a bordo del suo aereo, ribattezzato ‘Hill Force one’.

“Sono allergica soprattutto a Trump”, ha poi scherzato. Ma Hillary ha toccato anche altri temi, ad esempio attaccando Putin per gli hackeraggi russi che interferiscono nelle presidenziali americane e per il fallimento dei negoziati sulla Siria, dove – a differenza di Obama – è tornata a proporre una ‘no fly zone’ come leva per mettere pressione su Assad. Un assaggio di come potrebbe cambiare la politica estera americana in quello scenario.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)