Brexit: la linea dura di May affossa la sterlina, ma spinge la Borsa

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Brexit: linea dura May affossa sterlina,ma spinge Borsa
Brexit: linea dura May affossa sterlina,ma spinge Borsa

LONDRA. – La Gran Bretagna si avvia verso la Brexit allontanandosi (forse) anche dal mercato unico e la sterlina precipita. Ma la Borsa di Londra – sospinta se non altro da qualche prospettiva di certezza in più sui tempi del negoziato, oltre che dal contraccolpo delle dinamiche valutarie e dall’indice manifatturiero delle Pmi al massimo da due anni – accelera decisamente, in controtendenza con altre piazze: fino a chiudere con un buon +1,25%.

Ha avuto un effetto a doppia faccia il discorso con cui la premier britannica Theresa May, rivolgendosi solennemente alla platea congressuale del Partito Conservatore a Birmingham, ha innescato il conto alla rovescia per il divorzio dall’Ue, fissando il termine massimo di marzo 2017 per l’attivazione dell’articolo 50, premessa dell’avvio dei due anni di negoziati formali previsti dal Trattato di Lisbona per il ‘recesso’ dal Club di Bruxelles.

Un messaggio secco, accompagnato da richiami insistiti alla linea dura sulla volontà di riconquistare sovranità sui confini e di limitare l’immigrazione (anche europea) che appaiono incompatibili con un qualsiasi compromesso sulla permanenza del Regno almeno nel mercato comune. O nell’unione doganale.

I maggiori giornali del Paese, dal Financial Times al Guardian al Times, sono del resto concordi nell’intravvedere dietro le parole di lady Theresa l’orizzonte di una “hard Brexit”. Una prospettiva che suggerisce a Sam Hill, analista della Royal Bank of Canada, persino un ulteriore neologismo: Smexit, crasi di ‘Single Market Exit’. E affossa la sterlina facendola cadere al minimo degli ultimi 30 anni su euro e dollaro: con la valuta europea a un solo passo dalla parità (quasi 0,9 per pound) prima d’una leggera inversione.

A pesare sono pure le parole del cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, protagonista di giornata all’assise Tory di Birmingham, secondo il quale la tenuta di questi mesi dei fondamentali dell’economia dell’isola, rispetto a qualche previsione allarmistica risuonata durante la campagna referendaria, non significa che un rallentamento della crescita non sia alle porte. Né che si possa negare un periodo di alcuni anni “sulle montagne russe” per chi fa affari oltre Manica.

Paladino finora del progetto di una ‘soft Brexit’ – al pari del grosso della City – il titolare del Tesoro è sembrato in effetti spiazzato dall’apparente allineamento della May ai ‘brexiter’ duri e puri di governo (i ministri Boris Johnson, David Davis, Liam Fox). E ha in qualche modo chinato il capo promettendo un superamento dell’austerity a favore di un rilancio degli investimenti dello Stato, a partire dall’edilizia pubblica, nel quadro di un proclamato conservatorismo più sociale.

Ma non per questo ha rinunciato a un appello al “pragmatismo”, nè a mettere qualche puntino sulle ‘i’: “Non ci sono se, non ci sono ma, non ci sarà un secondo referendum, – ha premesso – noi lasceremo l’Ue. Ma deve essere altrettanto chiaro che i britannici non hanno votato (Leave) al referendum del 23 giugno per diventare più poveri”.