Referendum in Colombia, un esempio di democrazia

CARACAS – Un esempio di democrazia, di un Paese in cui le istituzioni funzionano ed è rispettata l’indipendenza dei poteri. In Colombia ha vinto il “No”. Il Paese era stato chiamato ad esprimersi sugli accordi di pace firmati dal Governo del presidente Juan Manuel Santos e le Farc, la storica formazione guerrigliera fondata nel 1964 da Pedro Antonio Marìn, meglio conosciuto col nome di Manuel Marulanda Vèlez o “Tirofijo”. Il 50,24 per cento dei votanti ha rispedito al mittente l’accordo mentre il 49,75 per cento si è espresso a favore del “Sì”. Dalla consulta popolare, quindi, è emerso un Paese spaccato il cui futuro politico ed economico pare incerto. Il “No”, infatti, rappresenta una sconfitta per il Governo del presidente Santos e il trionfo della destra radicale guidata da Alvaro Uribe Vèlez ma anche un duro colpo all’economia della nazione. L’accordo di pace avrebbe rafforzato il clima di fiducia nel Paese e convinto anche gli industriali e le multinazionali più intransigenti, a investire. Ora il futuro politico è incerto, probabilmente gli investitori tireranno i remi in barca e la strada verso la pacificazione del Paese è sempre più in salita. Come con la Gran Bretagna dopo il referendum sul “Brexit”, così la Colombia si è risvegliata, il giorno dopo il “No”, disorientata, confusa, in stato di “shock”.
Ma non è l’esito della consulta popolare quello che ci interessa analizzare in queste colonne, ma la maniera in cui si è svolto il Referendum prima, durante e dopo i risultati.
Una lezione di democrazia. Non siamo noi a dirlo, sono i fatti a dimostrarlo. La Colombia, nonostante sia un paese travagliato da una lunga guerra interna, ha mostrato domenica scorsa come le istituzioni riescano a funzionare e come si abbia un profondo rispetto per l’indipendenza dei poteri pubblici.
Il referendum per confermare l’accordo di pace tra le Farc e il governo è stato realizzato immediatamente dopo la firma dell’accordo, avvenuta ufficialmente il 26 settembre scorso, a seguito della fine del dialogo, avvenuto lo scorso 24 agosto. La consulta, quindi, è stata organizzata in pochissimo tempo, a dimostrazione di cosa si può fare quando esistono volontà e un organismo elettorale efficiente.
Nella campagna per il “No” e quella per il “Sì”, poi, sebbene i toni siano stati molto accesi, come accade spesso in una campagna elettorale, non sono mai state impiegate espressioni apertamente insultanti, tantomeno minacce, anche se il dibattito non sempre si è svolto nell’ambito delle idee.
Dopo la consulta popolare, poi, i colombiani non hanno dovuto attendere fino a notte inoltrata o, addirittura, il giorno seguente, per conoscere i risultati. Dopo appena due ore, forse poco più, l’organismo elettorale, dopo una serie di bollettini provvisori, in cui il “No” e il “Si” si sono alternati creando illusioni, ha reso noto l’esito della consulta popolare.

Nessuno ha avuto da ridire sui risultati, né il governo né chi sosteneva la scelta del “no”. Tutto, quindi, si è svolto come è costume radicato nelle democrazie mature.
In Venezuela, da mesi, il Tavolo dell’Unità cerca di superare i tanti ostacoli, criticati anche da autorevoli istituzioni internazionali e da numerosi governi democratici che seguono con interesse e preoccupazione le vicende venezuelane, posti dal Consiglio Nazionale Elettorale, per attivare un Referendum volto a destituire il Presidente giunto a metà del suo mandato, come previsto dalla Costituzione.
Il Tavolo dell’Unità continua a rincorrere il Referendum. E lo fa con l’unico strumento a sua disposizione: la presenza sempre più massiccia di venezuelani nelle manifestazioni di piazza che organizza. Qualunque scorciatoia per destituire il capo dello Stato sarebbe un crasso errore. La medicina sarebbe peggiore alla malattia.
Come sostiene Luis Vicente Leòn in una nota pubblicata dal portale “Prodavinci”, il Tavolo dell’Unità deve impegnarsi nella raccolta del 20 per cento delle firme, tracciare strategie per non fallire l’obiettivo a prescindere dalla corsa ad ostacoli imposta dall’organismo elettorale.
E’ probabile che non vi sia consulta popolare quest’anno, e forse neanche il prossimo, ma l’Opposizione avrebbe dimostrato agli occhi del mondo che esiste una maggioranza stanca delle politiche del governo e desiderosa di un cambio. E una minoranza che nega l’inevitabile. Il cammino è lungo e non certo facile. Ma si sapeva.
Mauro Bafile