Papa Francesco tra i terremotati, vi sono vicino

Pope Francis praying infront the ruins in Amatrice, Italy, 04 October 2016 as he arrives to meet people who survived the earthquake hit town of Amatrice. A devastating 6.0 magnitude earthquake early morning of 24 August left a total of 293 dead, according to official sources. ANSA/MATTEO GUIDELLI
Pope Francis praying infront the ruins in Amatrice, Italy, 04 October 2016 as he arrives to meet people who survived the earthquake hit town of Amatrice. A devastating 6.0 magnitude earthquake early morning of 24 August left a total of 293 dead, according to official sources.  ANSA/MATTEO GUIDELLI
Pope Francis praying infront the ruins in Amatrice, Italy, 04 October 2016 as he arrives to meet people who survived the earthquake hit town of Amatrice. A devastating 6.0 magnitude earthquake early morning of 24 August left a total of 293 dead, according to official sources.
ANSA/MATTEO GUIDELLI

AMATRICE (RIETI). – C’è l’abbraccio con il vecchio Giovanni e la foto con i vigili del fuoco “che salvano le persone”, ci sono i sorrisi e i capelli scompigliati ai bambini che si attaccano al vestito bianco. E i silenzi davanti alle macerie. E’ il viaggio di un parroco di paese, quello di papa Francesco nelle terre sconvolte dal terremoto del 24 agosto; un viaggio lungo 350 km tra Lazio, Marche e Umbria che il pontefice fa in auto, otto ore tra curve e strade interrotte per portare a questa gente che non ha più casa, ricordi e affetti, lo stesso messaggio di conforto: “vi sono vicino”.

Sono le 9.15 quando la Golf blu con targa italiana e vetri oscurati entra nel piazzale della nuova scuola di Amatrice. Niente scorta, niente elicottero, niente programma ufficiale: le forze di polizia e pochissimi altri hanno avuto la conferma della visita alle 8 di mattina, quando l’auto con il papa a bordo ha lasciato il Vaticano.

D’altronde Francesco lo aveva detto esplicitamente sul volo di ritorno dall’Azerbaigian: “vorrei essere vicino alla gente, ma da solo”. Non è andata proprio così, nel senso che il papa solo non c’è stato un attimo; ma è riuscito lo stesso a fare quel che voleva: calarsi tra i cittadini come un prete qualunque e stringere mani, annullare distanze, guardare negli occhi chi soffre, portare un messaggio di speranza.

Così nella scuola Romolo Capranica stringe le mani ai ragazzi più grandi e abbraccia quelli più piccoli, guarda sorridendo i loro disegni e in cambio dona rosari, spinge gli adulti a “guardare avanti”. “Non sono venuto prima – dice – per non creare problemi, non volevo dare fastidio. Nei primi giorni ho visto tanti dolori e ho pensato che la mia visita, forse, fosse più un ingombro che un aiuto, un saluto”.

Ora però bisogna ricominciare; e le scuole sono un simbolo del ritorno alla vita. E’ questo, dunque, il momento per esserci. Per ribadire quel concetto: “vi sono vicino e prego per voi”. La stessa cosa che Francesco dice ai vigili del fuoco che lo accolgono nella zona rossa di Amatrice. “Ogni giorno prego per voi affinché non dobbiate lavorare, perché il vostro è un lavoro doloroso”.

L’immagine che tutti i media cercano, che tutti vogliono, è quella del papa di spalle, solo, di fronte alle macerie del paese. Ma l’immagine che vuole Francesco, invece, è piena di vita. “Fatemi una foto con i pompieri – chiede ai fotografi vaticani – perché loro sono quelli che salvano le gente”. “Non è una visita alle macerie, ma alle persone – conferma il vescovo di Rieti Domenico Pompili – una visita dei gesti e dell’incontro fisico con la gente”.

E di gesti che lasciano il segno tra le persone, il papa-parroco, ne fa diversi. Stringe forte a sè la felpa con la scritta Accumoli che gli regala il sindaco Stefano Petrucci e quella con la scritta Amatrice, recuperata sotto le macerie del paese. Si ferma a pranzo nella residenza sanitaria del San Raffaele a Borbona, dove ci sono i più disperati tra i disperati: anziani non autosufficienti e non assistibili a domicilio, sfollati dopo il terremoto. Un piatto di riso e facce incredule: “tutto mi aspettavo – è il commento di una 92enne – tranne che mangiare accanto al papa”.

E in piazza San Francesco ad Accumoli si allontana da tutti chiedendo silenzio per pregare davanti alle macerie della chiesa: il campanile, crollando, ha ucciso una famiglia di quattro persone. “Ho sentito che dovevo venire da voi. Vicinanza e preghiera, niente di più, questa è la mia offerta per voi” dice alla gente che prima lo applaude, poi lo bacia, poi piange e infine si fa un selfie con lui.

A san Benedetto del Tronto lo aspettano 300 sfollati ospitati negli alberghi, ma Francesco si ferma solo alla tendopoli di Bordo di Arquata, dopo una preghiera su quel che resta del paese che non c’è più: Pescara del Tronto. Anche qui lo attendono i bambini delle scuole, ma lui non risparmia una stretta di mano e una carezza a chi lo ferma per strada. “Coraggio, sempre avanti, i tempi cambieranno e si potrà andare avanti”.

“Sono parole che daranno forza a tutti noi” dice il commissario per la ricostruzione Vasco Errani, che con il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio ha salutato il pontefice. “Venirci a trovare – aggiunge il sindaco Aleandro Petrucci – era il più bel dono che ci poteva fare”.

L’ultima tappa del viaggio è San benedetto di Norcia: Francesco scende dall’auto stanco ma con ancora la forza di tirare fuori un sorriso per la gente che lo aspetta. C’è il tempo per una preghiera e per ribadire anche qui il messaggio: “sono con voi in un momento di tristezza, chiedo al signore che vi dia la forza di guardare avanti”.

La Golf blu riparte in direzione Roma ma trecento metri più avanti si ferma di nuovo: ci sono da salutare alcune suore benedettine del convento di Sant’Antonio che erano arrivate in ritardo. Francesco apre il finestrino, stringe le mani e parla con loro. Come un parroco di paese.

(dell’inviato Matteo Guidelli/ANSA)

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