Tutti diversi, tutti uguali

Laerte
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 – Viaggio nell’asilo dell’ONU, dove i bambini sono tutti diversi e tutti uguali –

Mio figlio ha un anno e mezzo ed è un bambino fortunato.

E non lo è per i suoi dentoni bianchi e larghissimi che si compongono in un sorriso tanto strampalato quanto ipnotico. E non lo è per i suoi ciuffi biondi e spennacchiati che un giorno lo faranno rassomigliare al principe di una favola. E non lo è nemmeno, venendo a cose più serie, perché vive nella città ancora oggi più “al centro” dell’intero pianeta.

Mio figlio è un bambino fortunato perché, quando sarà un po’ più grande per capire, non capirà il senso della parola diversità. Per lo meno non nella sua accezione negativa cui ci siamo tristemente abituati noi adulti nell’Italia (e nell’Europa) del “rimandiamoli a casa loro”.

Mio figlio è un bambino fortunato perché frequenta già da alcune settimane l’asilo nido delle Nazioni Unite. E risparmiatemi la predica dei privilegi e della casta perché, come il 90% dei servizi offerti qui a New York, costa un occhio della testa. Proviamo, invece, a concentrarci sulla meraviglia che in tante maniere diverse rappresenta questo posto.

Ogni mattina io o mia moglie ci immergiamo per alcuni minuti in un’atmosfera che sembra un sogno: un manipolo di adorabili “gnometti” per un miscuglio di colori, lingue e nomi che io non ho ancora imparato a pronunciare. Provate voi a cimentarvi col giapponese o con l’hindi alle 8 del mattino. In questo, come in tante altre cose, mio figlio è già più bravo di me: Mitsuru, Himesh o Keshia, per lui non sono un problema. Sul fronte comunicazione, l’inglese naturalmente prevale, ma non esclude tutto il resto. E così ogni giorno il mio piccolo torna a casa con qualche parolina presa a prestito da questo o da quel dizionario.

Ma, soprattutto, senza avere alcuna chance di maturare dei sentimenti che non siano fondati sull’uguaglianza e sulla condivisione.

Le Nazioni Unite sono un esperimento risalente oramai ad una settantina di anni fa e, mentre nel Palazzo di Vetro accanto ai grandi ideali si agitano rivalità e tensioni, in queste stanzette ed in questi corridoi, tra vecchi giocattoli di legno, continuano ad esistere solo e soltanto nella loro forma più bella, quella per la quale, del resto, erano state al tempo immaginate: azzerare le distanze e favorire l’integrazione tra i popoli.

E non solo qui dentro. Ogni tanto capita di incrociare questo piccolo grande “esercito del sorriso” nel labirinto verticale di acciaio e vetro che è Manhattan. Un’uscita al parco diventa di colpo una lezione di vita: in fila indiana, mano nella mano, come fosse un tutt’uno che non saprebbe essere né diviso né nient’altro. Esseri umani piccini piccini portatori di un concetto grande grande: sono tutti uguali.

Mio figlio è un bambino fortunato. E lo sono tutti i bambini che trascorrono le loro giornate così. E fortunati potremmo esserlo anche noi se, anziché montare tutto intorno impalcature e castelli di rabbia e di intolleranza, provassimo soltanto ad assomigliargli un po’.

Luca Marfé

Instagram: @lucamarfe – Twitter: @marfeluca

www.lucamarfe.com

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