Draghi difende la Bce, il Jobs Act prova che non fermiamo le riforme

Mario Draghi: "Recuperati posti persi, ma dubbi su qualità"
Draghi difende Bce, jobs act prova non fermiamo riforme
Draghi difende Bce, jobs act prova non fermiamo riforme

BERLINO-ROMA. – Una difesa a tutto tondo dell’operato della banca centrale europea di fronte al difficile pubblico tedesco. Argomentata da Mario Draghi non solo smontando la teoria secondo cui il quantitative easing, l’acquisto di debito, favorisca i debitori a scapito di chi risparmia. Ma anche tirando in ballo apertamente l’Italia, e in particolare alcune misure del governo Renzi come il Jobs Act, varate in pieno ‘Qe’ a dispetto dell’ipotesi che gli aiuti della Bce abbiano tolto l’incentivo a fare misure impopolari.

Ad offrire lo spunto al presidente della Bce è la ‘Europe Lecture’ del Diw, l’istituto tedesco di ricerca economica il cui presidente, Marcel Fratzscher, è molto più amico dell’Italia rispetto ad altre istituzioni tedesche. Proprio Fratzscher, raccolte le domande del pubblico, si rivolge a Draghi senza lo spirito tagliente visto spesso a Berlino, ma in termini costruttivi.

Con il ‘quantitative easing’ c’è azzardo morale, vale a dire i governi, aiutati dal crollo del costo del loro debito, si rilassano troppo? “no”, taglia corto Draghi. Che senza essere incalzato minimamente in quella direzione, guarda all’Italia (e alla Spagna): una delle prove, spiega Draghi, è che “le riforme del mercato del lavoro in Italia e Spagna sono state realizzate quando i tassi erano già bassi da un po’, quindi non c’è un legame diretto”.

E ancora (con parole che rievocano per forza lo Stivale): “una riforma costituzionale, della legge elettorale, del sistema giudiziario, del sistema educativo, davvero pensiamo che dipenda dai tassi d’interesse?”. Piuttosto (e anche qui qualcuno a Roma deve essersi sentito sollevato), quando i bilanci pubblici sono sotto la pressione dei mercati, “i governi fanno la cosa più facile: alzare le tasse e tagliare gli investimenti pubblici, che è esattamente ciò che non vogliamo!”.

Il Diw, da tempo a favore di una maggior spesa pubblica da parte di Berlino per aiutare la crescita europea, è un’audience meno difficile di quelle fronteggiate di recente, come al Bundestag. E dunque Draghi coglie la palla al balzo per ribadire ai risparmiatori tedeschi, falcidiati da rendimenti ormai infinitesimali dei fondi d’investimento come risultato della politica della Bce, che la banca centrale oggi “sta proteggendo” anche loro, che il ‘Qe’ non sta spostando ricchezza dalla Germania verso l’Italia o il Portogallo.

Ai mercati, ansiosi di capire le prossime mosse della Bce, fa intravedere un ulteriore allungamento degli acquisti di debito, oltre la scadenza di marzo: “guardando in avanti, rimaniamo impegnati a mantenere un grado molto rilevante di politica monetaria espansiva, necessaria per una convergenza dell’inflazione verso livelli inferiori, ma prossimi, al 2%”.

E rassicura, con parole che finiscono per suscitare una lode da parte di Fratzscher, anche sul futuro dell’Europa: “in realtà l’integrazione sta proseguendo non nei settori che ritenevamo più importanti due anni fa, ma in aree più vicine ai bisogni della gente: le migrazioni, la sicurezza e la difesa”. E il progetto europeo resta “fondamentale per il nostro futuro e per quello dei nostri figli”.

(di Domenico Conti/ANSA)