Sempre in calo il prezzo del petrolio. Riuscirà il Venezuela ad evitare il default?

Riuscirà il Venezuela a evitare il default?
Riuscirà il Venezuela a evitare il default?
Riuscirà il Venezuela a evitare il default?

CARACAS – Il petrolio venezuelano continua a perdere terreno. La settimana che ci lasciamo alle spalle, il barile di greggio é stato quotato in media 39,14 dollari. Ciò vuol dire ben 3,37 dollari meno dell’ultima settimana di ottobre, quando invece il prezzo è stato di 42,51 dollari. E non pare che all’orizzonte ci sia la possibilità di una inversione di marcia.

Gli esperti del ministero del Petrolio, stando all’analisi pubblicata nell’ultimo “report” settimanale, considerano la tendenza prodotto delle speculazioni che danno per certa l’esistenza nei paesi industrializzati di un’importante eccedente.

Tutti i prezzi di riferimento hanno subito una flessione significativa. Il West Texas Intermediate (WTI) è stato quello che piú ha sofferto per la instabilitá del mercato. Il barile di greggio è stato venduto 3,60 dollari meno della settimana scorsa. E cioè, 44,63 dollari.

Il prezzo del petrolio, quindi, vola a bassa quota. E per il prossimo anno ci si aspetta un prezzo in media pari a 50 dollari il barile forse a 60 dollari, se proprio si vuole essere molto ottimisti. Queste le quotazioni di riferimento, però, del petrolio leggero che il Venezuela non ha.

Intanto l’accordo preliminare dell’Opec, volto a limitare la produzione, sembra a rischio. Ad ottobre i prezzi del petrolio avevano subito una spinta importante, alimentata dall’aspettativa di un accordo sui livelli di produzione che facesse calare l’offerta e, quindi, permettesse un riequilibrio dei prezzi. Ma gli analisti, ora, osservano che il rally, ch’era scattato grazie alle speculazioni, è di fatto insostenibile.

Le previsioni, per il Venezuela, sono tutt’altro che rosee. Infatti, stando al Wall Street Journal, il prossimo anno il Brent dovrebbe quotare in media 56 dollari al barile. Le previsioni per il WTI sono invece di 55 dollari al barile e anche meno.

Non aiutano alla crescita dei prezzi del petrolio le notizie provenienti dall’America. I produttori degli scisti ritengono di poter ottenere utili anche con un prezzo del barile tra i 40 e i 50 dollari. Per questo hanno incrementato le attivitá di trivellazione ed aiutato a far crescere le scorte.

Negli Stati Uniti ci sono anche migliaia di pozzi perforati ma non ancora sottoposti al fracking. Molti di essi potrebbero presto iniziare la produzione. L’eccesso di offerta potrebbe quindi ancora aumentare, rinviando il riequilibrio del mercato.

Gli investitori attendono con interesse i risultati del prossimo conclave dell’OPEC in programma alla fine di questo mese. Non c’è alcun dubbio che i prezzi del petrolio saranno fortemente influenzati verso la fine dell’anno dalle decisioni del cartello.

Come si ricorderà, l’OPEC, sotto la spinta diplomatica del Venezuela aveva raggiunto a fine settembre ad Algeri un accordo preliminare: taglio della produzione di quasi 700.000 barili al giorno. Ovvero, da 32,5 milioni di barili al giorno a 33 milioni. La notizia ha spinto temporaneamente i prezzi del petrolio; spinta che ha perso la sua forza con la notizia che l’Iran e l’Iraq hanno insistito per essere esentati dal piano volto a stabilizzare il mercato.

L’incontro con i Paesi non-OPEC, poi, non ha portato a risultati concreti. E così è aumentato lo scetticismo. L’Opec sembra condannato a restare in un vicolo cieco e il Venezuela a dover cercare di sopravvivere con il barile di petrolio a meno di 40 dollari almeno per tutto il 2017. La domanda che ci si pone è: il paese, sprofondato in una crisi economica senza precedenti, riuscirà ad evitare il default?