Usa 2016: chi ha paura di Madam President?

Democratic Presidential nominee Hillary Clinton holds a 'get out the vote' rally at Pitt Community College in Winterville, North Carolina, USA, 03 November 2016. EPA/JIM LO SCALZO
Democratic Presidential nominee Hillary Clinton holds a 'get out the vote' rally at Pitt Community College in Winterville, North Carolina, USA, 03 November 2016. EPA/JIM LO SCALZO
Democratic Presidential nominee Hillary Clinton holds a ‘get out the vote’ rally at Pitt Community College in Winterville, North Carolina, USA, 03 November 2016. EPA/JIM LO SCALZO

WASHINGTON. – “Sì, queste elezioni hanno molto a che fare con il tema del genere”. Ovvero “una battaglia tra i sessi”. Non ha dubbi Elaine Kamarck, senior fellow presso la Brooking Institution di Washington, politologa e autrice di saggi, l’ultimo appena uscito dal titolo ‘Why Presidents Fail: And How They Can Succeed Again’ (Perché i presidenti falliscono: e come possono riuscire nuovamente’). Kamarck si dice però “sorpresa dall’intensità dell’opposizione nei confronti di Hillary Clinton e la chiara misoginia che è emersa. In particolare per una donna che è qualificata”.

E se la domanda è se è ‘perfetta’? No, non lo è, ma chi lo è?. Allora chi ha paura di Madam President? Che si tratti di repubblicani o democratici: “Una classe di uomini bianchi che forse non stanno molto bene economicamente o non come un tempo e percepiscono una perdita in status. Un tempo erano loro a guidare il mondo”. Un effetto quindi più economico e psicologico che politico.

E in questo, nello sguardo a un passato superato (anche nel processo politico americano dove la politologa riconosce i molti passi avanti fatti) in Donald Trump vede quasi un flashback, come venisse “da un’altra era” rispetto a come gli uomini si comportavano.

Facendo un passo avanti però, e nell’ipotesi che l’8 novembre venga eletta la prima presidente donna degli Stati Uniti, secondo Kamarck a livello di leadership, di politiche di governo, che ci sia una Madam President nello Studio Ovale “non credo che faccia una enorme differenza. Quello che può accadere è un focus su certi temi di politica estera, in particolare per ciò che riguarda il modo in cui in alcuni Paesi le donne vengono trattate, che è una violazione dei diritti umani. In politica interna poi forse si può prevedere una grande attenzione all’infanzia e alla salute dell’infanzia, sebbene credo che questo sia un ambito cui qualsiasi presidente democratico presterebbe attenzione”.

La politologa sottolinea infatti che negli Usa a livello politico, come al Congresso per esempio, parità nell’azione c’è già. E’ a livello della presidenza che, probabilmente, considerato il ruolo da ‘commander in chief’ che la carica comporta, qualcuno si fa ancora delle domande sulla possibile novità che venga ricoperto da una donna, “eppure – ricorda la politologa – di esempi ce ne sono stati. Si pensi a Margaret Thatcher e Golda Meir, che si sia d’accordo o meno”.

Altro discorso sono le possibili pressioni esercitate dall’opposizione: “come per Obama. Le normali dinamiche politiche di parte sono state amplificate in questo caso dal pregiudizio razziale. Nel caso di Hillary presidente verrebbero amplificate dalla misoginia”. Un cambiamento però nell’eventuale elezione di una donna alla Casa Bianca ci sarà e riguarda il futuro: “avrà conseguenze durature”.

Il riferimento è alle generazioni di bambine e ragazze che vedranno come ‘normale’ una donna ricoprire la maggiore carica elettiva negli Stati Uniti. Un effetto che può andare oltre i confini americani “per via dell’influenza che gli Stati Uniti hanno sul mondo in questo momento storico”. E l’associazione è nuovamente con Barack Obama: “Così come tante persone hanno visto un presidente degli Stati Uniti che ha il loro stesso aspetto”.

(di Anna Lisa Rapanà/ANSA)