Lo sfogo di Hillary: “Non volevo più uscire di casa”

Hillary Clinton addresses the Children's Defense Fund's Beat the Odds celebration at the Newseum in Washington, Wednesday, Nov. 16, 2016. (ANSA/AP Photo/Cliff Owen) ------------------------------------------------------------------------------------------
Hillary Clinton addresses the Children's Defense Fund's Beat the Odds celebration at the Newseum in Washington, Wednesday, Nov. 16, 2016. (ANSA/AP Photo/Cliff Owen) ------------------------------------------------------------------------------------------
Hillary Clinton addresses the Children’s Defense Fund’s Beat the Odds celebration at the Newseum in Washington, Wednesday, Nov. 16, 2016. (ANSA/AP Photo/Cliff Owen)
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WASHINGTON. – Hillary Clinton torna a casa. E nel clima protetto di quella che può considerarsi la sua prima creatura, il Children’s Defence Fund, dove lavorò appena uscita da Yale, parla per la prima volta in pubblico dopo aver ammesso la sconfitta e concesso la vittoria a Donald Trump.

Parla dopo notti di delusione profonda, di dolore per la fine di una strada lunga, trovata per l’ultima volta sbarrata. E come a ignorare questa volta i riflettori che ha avuto puntati addosso per un anno e mezzo, si mostra senza il make up da performance televisiva, la voce più pacata, il ritmo più rallentato e ammette: “Non è stato facile venire qui stasera”.

Non serve mostrarsi dura e imperturbabile adesso: “Ci sono state volte, in quest’ultima settimana, in cui l’unica cosa che volevo fare era raggomitolarmi con un buon libro e non uscire mai più di casa”. E’ lo sfogo che passa per il ricordo della madre e della sua vita difficile, rivendicando con uno scatto d’orgoglio il suo mandato da senatrice e soprattutto quei 62 milioni di voti che l’avrebbero voluta alla Casa Bianca.

Il suo obiettivo adesso è però rassicurare, se non proprio consolare chi aveva visto in lei la possibilità di proseguire sul solco tracciato da Barack Obama, o la prima donna presidente degli Stati Uniti: “So che molti di voi sono profondamente delusi dai risultati delle elezioni. Lo sono anche io, più di quanto potrò mai esprimere”.

Ma non bisogna perdersi d’animo: “Le divisioni messe a nudo da questa elezione sono profonde, ma per favore ascoltatemi quando dico che l’America vale la pena. I nostri figli valgono la pena. Credete nel nostro Paese, battetevi per i nostri valori e non vi arrendete mai. Mai”.

Il messaggio ultimo prima di mettersi da parte è anche verso un partito che però lascia a pezzi, alla ricerca di leadership e di identità. Così, quasi in contemporanea e a poca distanza dal galà di cui Hillary è ospite, l’ex sfidante Bernie Sanders sembra adesso libero di far valere la forza dell’entusiasmo instillato dalla sua sorprendente corsa e, accolto da una lunga standing ovation alla George Washington University, torna di fatto sulla scena politica e nel partito.

In mattinata interviene anche ad una manifestazione ai piedi del Congresso rilanciando il suo monito a Trump e ribadendo le sue priorità. Il nuovo capo della minoranza al Senato Chuck Schumer lo ha incluso nel team della nuova leadership come esponente dell’ala liberal insieme alla senatrice Elizabeth Warren.

Non è però ancora una scelta di campo netta, nelle intenzioni di Schumer il ‘direttorio’ deve infatti riflettere la diversità regionale e ideologica del partito, da cui l’inclusione di esponenti dell’ala più moderata, mentre ancora restano in ballo nomina e voto per la leadership della minoranza alla Camera, con a rischio la ‘storica’ poltrona di Nancy Pelosi.

Per far spazio ad altro forse, eppure in queste ore c’è chi ricorda come espressioni dell’establishment del calibro di Pelosi” sanno come si fanno le cose a Capitol Hill” e ci vede un elemento da non sottovalutare se è vero che, nonostante il dominio repubblicano, al Congresso qualche spazio i democratici possono trovarlo per lavorare con Trump, facendo leva su tutti quei dossier che vedono difficile l’allineamento del presidente con i leader repubblicani e che fino all’elezione hanno costituito la linea di demarcazione tra una parte del Grand Old Party e il ‘candidato outsider’.

(di Anna Lisa Rapanà/ANSA)

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