L’altra Italia: Gazmir Zeneli. Il sogno americano è vivo!

Gazmir Zeneli -------------------------------

NEW YORK. – Gazmir, “Gaz” per gli amici, è un ragazzo già grande. Ha le mani robuste e qualcosa di goffo, ma negli occhi gli si legge il cuore delle persone perbene. E ancora, ha alle spalle una storia incredibile. Una delle tante storie, alle quali oramai ci stiamo tristemente abituando, fatta di gommoni, paure e speranze. E soprattutto di sogni.

E lui, all’indomani della sua Odissea, il suo “American dream” oggi lo vive e lo racconta così.

«Sono nato in Albania e nel ’91 scappavano tutti. Tra quei “tutti” anche i miei tre fratelli, più grandi e già pronti a prendersi le loro vite. Io sono rimasto indietro per forza di cose: ho dovuto aspettare e aspettare ancora. Nel ’94, finalmente, il mio momento. Sono arrivato a Bari senza neanche sapere troppo bene come. La notte, i gommoni fatiscenti, un bel po’ di paura. Con mamma e papà che non sapevano neanche della mia partenza. Merito e colpa di uno zio che i miei genitori non volevano frequentassi. Un uomo astuto, pieno di connessioni, l’artefice della mia traversata. Sono partito con lui nel bel mezzo della notte e dopo meno di un’ora mi sono ritrovato in acqua con indosso dei vestiti che non mi erano mai sembrati così pesanti. Non ho avuto nemmeno il tempo di capire quale fosse la ragione. Una vedetta della Guardia Costiera, mi hanno spiegato poi. Una mezz’ora che sembrava non voler finire, poi di nuovo sù, bagnato fradicio. La mia grande fortuna sono stati gli occhi di bambino, quelli che ti mostrano tutto come un grande gioco. Era una realtà cruda, capace però quasi di divertirmi. Ma, soprattutto, era l’inizio della mia storia».

E i tuoi genitori?

«Li ho rivisti tre anni dopo quando hanno raggiunto me ed i miei fratelli a Caserta. Mi ricordo di quell’abbraccio come fosse adesso. La famiglia è importante. E la famiglia era di nuovo riunita.
Noi lavoravamo tutti. Io, in realtà, avevo appena iniziato perché i primi tempi i miei fratelli mi consideravano troppo piccolo per coinvolgermi. E invece non vedevo l’ora di cominciare. Il lavoro, la fatica, il sudore avrebbero rappresentato per me la mia dignità e questa è una delle poche certezze su cui ho sempre fatto affidamento. Mi ritrovai al fianco di una signora, la titolare di un ristorante che faceva del cosiddetto “chilometro zero” la sua bandiera, con mio fratello che le disse “anche se non gli date soldi, fate in modo che impari un mestiere, che si innamori della cucina, delle cose buone».

Io questa signora non l’ho mai vista e Gaz lo conosco poco. Ma deve aver fatto centro perché questo ragazzo oggi è un genio della pizza.

«Nel giro di un paio d’anni sono diventato il cuoco del locale. Tutto iniziava a prendere forma anche se non avevo ancora nessuna idea di dove mi avrebbero portato gli anni a venire. Nel bel mezzo di tutto questo, è saltato fuori l’amore della mia vita: la pizza.
Una passione che avevo sempre covato, mai esplosa fino ad allora perché mai mi era stata data la possibilità di imparare. Questo fino a quando il proprietario di un hotel che aiutavo tra banchetti ed eventi privati non mi affiancò a suo figlio. È stata come una scintilla. La cucina è scivolata sullo sfondo in un attimo e mi sono ritrovato con le mani in pasta a quella che sarebbe diventata la mia strada».

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Gazmir Zeneli
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Ma insomma, Gaz: dopo tante peripezie, in America come ci sei arrivato?

«Ho vinto la lotteria! Dopo aver iniziato a lavorare per due grandi catene campane, mi sono detto: ci provo! Ho letteralmente vinto il mio visto e mi sono catapultato negli Stati Uniti senza pensarci sù due volte, pur non avendo alcun aggancio o binario professionale. “È il Paese delle opportunità”, mi sono detto. Ed il mio coraggio è stato ancora una volta premiato. Una traversata più degna, ma non per questo meno difficile. All’inizio tante cucine di “serie B”, dove sono stato costretto per forza di cose ad imparare lo spagnolo, vera lingua del posto. Poi, dopo aver lavorato tanto sul mio inglese, ho incrociato due giganti, Rosso Pomodoro e Eataly. Ora sono qui, dove un tempo sorgevano altri giganti (le Torri Gemelle, ndr), dove lavoro e sforno centinaia di pizze al giorno. Nello stesso continente che riunisce i miei fratelli: perché nel frattempo si sono trasferiti pure loro!».

Scoppia in una risata di felicità che conosce solo chi ha dovuto combattere per essere felice.

«Mamma e papà, invece, continuano a vivere a Caserta. Vengono a trovarci ogni tanto, si fermano pure uno o due mesi, ma alla fine di restare non ne parlano mai. Gli Stati Uniti, per noi figli, sono un’immensa opportunità. Ma l’Italia è e resta la nostra famiglia. Il cuore è lì, dall’altra parte dell’Oceano».

Gaz è nu buonu uaglion’. Buono perché coraggioso, lavoratore, sorridente. E senza saperlo mi ha insegnato tanto. E la sua storia non è soltanto la sua storia. È la lotta, è il sogno di tanti. Di quelli che scappano e di quelli che semplicemente se ne vanno per inseguire qualcosa di più, di più grande.

«Il sogno americano è ancora vivo! E mo’ devo correre o mi licenziano!».

Corri, Gaz: che di strada ne farai ancora. E tanta.

Luca Marfé

Twitter: @marfeluca – Instagram: @lucamarfe