Mosul, l’inferno degli sfollati che chiedono aiuto

Aiuti ACS Valle dei Cristiani Siria
Aiuti ACS Valle dei Cristiani Siria
Aiuti ACS Valle dei Cristiani Siria

BEIRUT. – Morto all’età di cinque mesi per una crisi respiratoria curata con gli psicofarmaci. Colpita da un ictus e ormai ceca, persa tra i corridoi di una scuola adibita a rifugio per gli sfollati. Sono solo due frammenti di storie raccolte in questi giorni da operatori dell’organizzazione non governativa (ong) italiana Intersos, impegnata nell’emergenza umanitaria nell’area di Mosul, roccaforte jihadista nel nord dell’Iraq e da oltre un mese teatro dell’offensiva anti-Isis.

Giovanni Visone, responsabile della comunicazione di Intersos, parla dal distretto di Qayyara, 80 km a sud di Mosul, nel campo di sfollati noto come “Jeddah”, e descrive una scena dai contorni apocalittici: “Mi trovo in una zona fortemente segnata dalla guerra”, racconta raggiunto telefonicamente dall’ANSA.

“Il livello di distruzione è enorme. Tutto è ricoperto di polvere. Polvere che si mescola al fumo degli incendi dei pozzi di petrolio”. Nel campo Jeddah ci sono circa 10mila persone. “E ogni giorno arrivano centinaia di nuovi sfollati”. Per Visone “è una crisi che durerà a lungo”. Così come sembra durare a lungo la battaglia per la conquista di Mosul.

“E’ una battaglia che espone enormemente i civili”. Le forze governative irachene – sostenute da milizie curde, sciite filo-iraniane e dalla Coalizione anti-Isis a guida Usa – dal 17 ottobre hanno sferrato un’offensiva militare su vari fronti per accerchiare e conquistare quella che dal 2014 è la ‘capitale’ irachena dell’Organizzazione dello Stato islamico.

Visone racconta di “una nuova ferita che si apre in questo Paese”. Intersos ha la memoria lunga in Iraq: l’organizzazione è in Mesopotamia dal 2003, anno dell’invasione anglo-americana, della conseguente deposizione del presidente Saddam Hussein e dell’inizio della guerra civile ancora in corso.

Alda Cappelletti, coordinatrice per Intersos dell’emergenza umanitaria a Mosul, ricorda – sempre parlando con l’ANSA – che l’organizzazione si occupa della crisi dei rifugiati siriani in Iraq dal 2013. E che da due anni segue da vicino la crisi degli sfollati interni (Idp) in fuga dall’avanzata dell’Isis. Secondo l’Onu, in cinque settimane di offensiva militare su Mosul sono già 68mila gli sfollati. Visone ha visitato vari campi di Idp nella zona di Qayyara.

“Ieri sono stato in una scuola ora stipata di sfollati. Ho appreso la notizia di un bimbo di cinque mesi morto pochi giorni fa dopo che la crisi respiratoria era stata curata col Valium. C’è bisogno di tutto, a partire dalle medicine e dall’assistenza medica primaria. Poi – prosegue Visone – ormai è arrivato l’inverno. Mentre molti sfollati sono fuggiti ancora con gli abiti estivi”.

L’intervento di Intersos, come racconta Cappelletti, si articola in tre diverse componenti. La protezione dei casi più vulnerabili, in particolare di donne e minori, prevede il sostegno psico-sociale a chi è vittima di traumi, e l’assistenza legale per chi non ha più i documenti, o per chi addirittura non li ha mai avuti.

“In molti casi, i bambini nati negli ultimi due anni non sono stati registrati”, afferma Visone.

Poi si interviene nel campo dell’educazione di emergenza, allestendo centri temporanei mobili di educazione e ricreazione. “Ci sono bambini che da almeno due anni non vanno a scuola”, afferma Cappelletti.

Infine c’è l’intervento nel settore della salute, con team mobili composti da medici, ginecologhe e infermieri, che visitano le località da cui l’Isis si è ritirato e dove da molto tempo mancano cure mediche di base. “Anche dopo la battaglia di Mosul, sarà tutt’altro che semplice”, afferma Visone.

(di Lorenzo Trombetta) (ANSA)

Lascia un commento