Rapporto, balzo delle povertà estreme nel nostro Paese

Una persona povera, ripias di spalle, camminando sul marciapiede di una via di negozi eleganti.
A rischio povertà uno su tre.

poverta

ROMA. – Negli anni della crisi si è estesa l’area della povertà, che riguarda anche milioni di lavoratori: le famiglie operaie che rientrano nella definizione di ‘poveri assoluti’ – che non riescono cioè ad accedere a beni e servizi essenziali – sono aumentate negli anni, passando dal 9,7% del 2014 all’11,7% del 2015.

“Il governo Renzi ha puntato tutto sulla crescita e sull’occupazione” legando il superamento dell’esclusione sociale alle sole politiche economiche, ridimensionando l’apporto di “buone politiche di welfare”, ma anche nelle più rosee aspettative, “nessun traino, nemmeno quello occupazionale” risolve i problemi correlati a una povertà cosi “multidimensionale, disuguale e anche interna agli stessi lavoratori”.

Questa l’analisi, sulle politiche per la lotta alla povertà, del rapporto ‘Diritti Globali’ realizzato dall’Associazione Società InFormazione di Sergio Segio, e promosso dalla Cgil e da organizzazioni che operano nel sociale, che evidenzia, in base ai dati Istat, “un balzo delle povertà estreme” nel nostro Paese.

“In Italia – ha osservato Segio, presentando il rapporto – in meno di 20 anni la quota salari sul Pil è diminuita di 7-8 punti percentuali: 110 miliardi sono stati trasferiti dai salari al profitto e alla rendite, con un drenaggio di risorse verso l’alto” della piramide sociale.

“La condizione di lavoratori poveri” riguarda quelli che l’Istat chiama ‘poveri relativi’, ovvero 8,3 milioni di persone, che si sommano ai “poveri al lavoro”, molti dei 4,6 milioni ‘poveri assoluti’ che rappresentano il 7,6% della popolazione, in forte aumento rispetto al 6,8% del 2014.

“Le disuguaglianze e la povertà sono in crescita a livello globale”, ha sottolineato Segio, che nel rapporto si sofferma anche sull'”epidemiologia delle povertà”: “L’Oms stima che in Europa 700mila morti e 33 milioni di casi di malattie sono dovute alle disuguaglianze”.

“Bisogna ridare significato alla parola cambiamento”, ha aggiunto: “La riforma costituzionale e il referendum del 4 dicembre vengono presentati come cambiamento, ma io credo che questo tipo di cambiamento non vada letto in senso positivo”. Un’altra parola cui ridare significato è “conflitto, non violento e costruttivo”, secondo Segio: “Fare sindacato nel senso etimologico di ‘insieme per la giustizia’”.

(di Melania Di Giacomo/ANSA)

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