Trump, lascio gli affari per rifare grande l’America

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WASHINGTON. – Donald Trump annuncia via twitter che lascerà il suo impero per non avere conflitti di interesse quando assumerà la presidenza. Intanto continua a completare la sua squadra nominando alla guida dell’economia due ex banchieri milionari, ben agganciati a quella Wall Street che in campagna elettorale aveva tanto vituperato: Steven Mnuchin, 53 anni, ex dirigente di Goldman Sachs e produttore cinematografico di Hollywood (‘Avatar’), e Wilbur Ross (70), un magnate come lui, a lungo democratico, specializzato come rider nel salvataggio di aziende decotte.

Entrambi senza esperienza di governo, ma tutti e due conoscenze di vecchia data e pronti a realizzare la sua agenda economica, a partire dalle riforme fiscali e commerciali, come hanno spiegato insieme nella loro prima intervista tv. A dare il ‘la’ alla giornata sono stati come sempre i cinguettii di Trump, già ribattezzato ‘commander in tweet’ per l’uso massiccio ed abile di una rete sociale con cui detta la sua agenda ai media.

Il tycoon ha rivelato che il 15 dicembre terrà a New York una “importante” conferenza stampa con i suoi figli per annunciare che lascerà “completamente” i suoi affari per concentrarsi “completamente sul governo del Paese e rendere l’America nuovamente grande”, come recita lo slogan della sua campagna.

Trump ha precisato di non essere “obbligato dalla legge” ma che ritiene sia “visivamente importante non avere conflitti di interesse con i miei vari affari”. “Perciò stiamo preparando i documenti legali per escludermi completamente dalla gestione degli affari. La Presidenza è un compito molto più importante!”.

Finora il tycoon non ha fatto mistero di voler affidare le redini di un impero economico con vaste ramificazioni internazionali ai tre figli, Donald Jr., Eric e Ivanka. Un’ipotesi confermata anche dalla sua consigliera Kellyanne Conway, secondo cui dovrebbero “aumentare le loro responsabilità” nella holding del padre.

Ma questa soluzione, secondo media ed esperti, non offrirebbe le garanzie di un blind trust: quello pensato da Trump avrebbe un occhio chiuso ma l’altro ben aperto, visti i legami familiari e il coinvolgimento dei tre figli nella campagna elettorale, sino alla loro inclusione nel transition team, dove giocano un ruolo attivo nelle nomine chiave dell’amministrazione.

Per ora Trump va avanti per la sua strada e lascia in vetrina le sue due ultime nomine, che potrebbero sembrare uno schiaffo ai suoi elettori anti-establishment ma che hanno già confermato alcune delle promesse elettorali del tycoon. Mnuchin, ex tesoriere della sua campagna e terzo uomo di Goldman Sachs ad occupare questa poltrona, dopo Henry M. Paulson Jr. (sotto George W. Bush), e Robert E. Rubin (con Bill Clinton), ha profetizzato “la più grande rivoluzione fiscale dai tempi di Ronald Reagan”, con un taglio delle tasse alla middle class e alle imprese (dal 30% al 15%) per “creare posti di lavoro e stimolare la crescita economica”, con un aumento del pil dall’attuale 3,2% al 4%.

Mnuchin ha annunciato anche un affondo sulla riforma di Wall Street varata dall’amministrazione Obama come risposta alla crisi finanziaria del 2007-2008: “Vogliamo abolire tutte quelle regole della legge Dodd-Frank che ostacolano i prestiti delle banche soprattutto verso le piccole imprese”.

Uno smantellamento dell’eredità di Obama quindi, come si teme per l’Obamacare, dopo la nomina a ministro della Salute del suo più fiero avversario, Tom Price. Va in questa direzione anche lo stop del nuovo segretario al commercio Wilbur Ross all’ “orribile” trattato transpacifico (Ttp) perseguito da Obama, insieme alla revisione del Nafta (l’accordo di libero commercio tra Usa-Canada-Messico) e alla predilezione per gli accordi bilaterali, con “sviluppi molto interessanti per la Gran Bretagna”.

Ross si è difeso anche dalle accuse di protezionismo: “Esiste il commercio buono e quello stupido. Noi abbiamo fatto molto commercio stupido ed è quello che correggeremo”, ha spiegato, aggiungendo che “l’importante è aumentare le esportazioni americane e sbarazzarsi delle barriere, tariffarie o no, che le ostacolano”.

Per questa settimana Trump non prevede altre nomine. Restano quindi ancora alcune caselle chiave da sistemare, come il Pentagono e soprattutto il dipartimento di Stato. Il candidato principale a guidare la diplomazia Usa sembra restare il suo ex nemico Mitt Romney, che ha lodato Trump dopo la cena di ieri ma che è fortemente avversato dai fedelissimi del tycoon.

(Claudio Salvalaggio/ANSA)