Giovani più poveri dei nonni. Italia del risparmio sommerso

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ROMA. – L’Italia è un Paese ripiegato su se stesso, ma che “regge” nonostante tutto, grazie a quattro pilastri: il lusso, la filiera enogastronomica, i macchinari e le apparecchiature e il risparmio delle famiglie. Ma a fronte di una vera e propria “bolla di liquidità”, prevalentemente in nero, non si investe più: si tengono i soldi sotto il materasso.

Accanto a questo, la crisi delle istituzioni ha portato a un grave scollamento tra potere politico e corpo sociale, che oggi si guardano rancorosi e si lanciano reciprocamente accuse di populismo.

E il punto debole della società sono i Millennials, i giovani che si ritrovano oggi più poveri dei loro nonni e non hanno aspettative nel futuro.

Questa è l’Italia vista dal Censis nel suo 50/mo Rapporto sulla situazione sociale del Paese. L’ultimo ‘firmato’ da Giuseppe De Rita, storico presidente dell’istituto, che ha annunciato che l’anno prossimo non sarà più lui a presentarlo.

LA SECONDA ERA DEL SOMMERSO – E’ nata una “seconda era del sommerso” che punta, dal risparmio cash alla sharing economy, alla “ricerca di più redditi”. Fenomeno diverso da quella degli anni ’70 che apriva a “una saga di sviluppo industriale e imprenditoriale”, perché si tratta di una “arma di pura difesa”. Negli ultimi due anni, “pur se segnati da una “diffusa sensazione di impoverimento”, “c’è stata una grande esplosione dei comportamenti volti all’accumulazione di redditi, di risparmi, di patrimoni e alla decisa volontà di farli ulteriormente fruttare”. Si va dall’attuazione di “una puntuale politica del risparmio” all’esplosione “negli ultimissimi anni di un grande risparmio cash”: dall’inizio della crisi gli italiani hanno accumulato un incremento di cash pari a 114,3 miliardi di euro: una montagna di denaro ‘tenuta sotto il materasso’ soprattutto per paura.

GIOVANI PIU’ POVERI DEI NONNI – Il Censis registra il “ko economico dei Millennials” che hanno “un reddito inferiore del 15,1% rispetto alla media dei cittadini” e una ricchezza familiare che, per i nuclei under 35, è quasi la metà della media (-41,2%). Invece per la popolazione complessiva il reddito si è ridotto solo dell’8,3% e per gli over 65 anni è addirittura aumentato del 24,3%. Un divario che si è ampliato nel corso del tempo: 25 anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media del 5,9%.

ROTTA CERNIERA POLITICA-SOCIETA’ – Il corpo sociale si sente “rancorosamente” vittima di un sistema di casta, il mondo politico si arrocca sulla necessità di un rilancio dell’etica e della moralità pubblica, le istituzioni non riescono più a “fare cerniera” tra dinamica politica e dinamica sociale e vanno quindi verso un progressivo rinserramento. E tutto ciò alimenta il populismo.

LA CRISI DEI CORPI INTERMEDI – I partiti politici sono al penultimo posto nella graduatoria dei soggetti in cui gli italiani hanno più fiducia: al di sotto si collocano solo le banche. E va anche detto che, fatto salvo il volontariato, si registra una débacle per tutti i soggetti intermedi tradizionali. A rafforzare il quadro, l’89,4% ha un’opinione negativa sui politici a fronte di un misero 4,1% di positivi.

SIAMO ANCORA EUROPEISTI? – Se da noi, però, non ha preso quota il populismo neonazionalista come accaduto in altri Paesi, tuttavia un’increspatura nella ‘fede’ europeista è percepibile, visto che l’uscita dall’Unione trova contrario il 67% degli italiani ma favorevole un sostanzioso 22,6% e un 10,4% di indecisi. Percentuale ancora più alta quella di chi è favorevole al ritorno alla lira (28,7%) contro il 61,3% di contrari, e saliamo ancora se consideriamo chi è favorevole alla rottura del patto di Schengen e alla chiusura delle frontiere italiane (30,6%) che vede contrario il 60,4%.

(di Angela Abbrescia/ANSA)

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