La contromossa di Renzi tra Colle, Consulta e ex Dc

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ROMA. – Nel giorno in cui salirà al Colle per dare le dimissioni da premier, Matteo Renzi riprenderà le redini della guida del Pd. Ma rispetto alle intenzioni bellicose dei suoi di spingere per elezioni in tempi brevi – al massimo entro marzo – il leader del Pd è dovuto arrivare a più miti consigli tra la dura presa di posizione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, non intenzionato allo show down elettorale, ed il lavorio degli ex Dc guidati da Dario Franceschini per soluzioni meno laceranti.

Ma soprattutto dopo che la Consulta ha fissato l’udienza sull’Italicum il 24 gennaio facendo capire che non saranno così brevi i tempi per una nuova legge elettorale. Il governo di responsabilità nazionale, che domani il leader dem proporrà in direzione mettendo d’accordo le varie correnti, non è il piano A di Renzi, per natura allergico a formule che ricordano la prima Repubblica.

Ma ancora oggi il Capo dello Stato ha fatto sapere che senza una legge elettorale omogenea tra Camera e Senato non si può trascinare il paese alle urne. E che il Pd, prima forza parlamentare, non può sfilarsi per senso di responsabilità verso il paese dal tentativo di un nuovo governo che Mattarella proverà a fare quando da giovedì aprirà le consultazioni.

Un profilo di governo, quello istituzionale con l’appoggio di più partiti, che fa salire le quotazioni di Pietro Grasso come premier e scendere quelle di uomini come Pier Carlo Padoan, Graziano Delrio e Paolo Gentiloni, tutti, chi più chi meno, riconducibili al Pd. Un ruolo in questa mediazione nei confronti di Renzi l’hanno svolto gli ex Dc di Dario Franceschini, legati da storia e amicizia al Capo dello Stato, ma è vero che le urne nei tempi più brevi possibili avrebbero dato la stura ad uno scontro totale dentro il Pd.

Non solo la minoranza di Pier Luigi Bersani era pronta alle barricate, convinta che, come dice l’ex segretario, “non si va al voto sulle macerie”, ma anche i giovani turchi, guidati da Matteo Orfini e Andrea Orlando, avevano dubbi sull’idea di seguire Renzi in questo nuovo “azzardo” dopo la sconfitta al referendum. La frenata finale è arrivata dalla Consulta.

Alla luce delle dimissioni del governo, i renziani erano convinti che la Corte Costituzionale avrebbe potuto anticipare l’udienza rispetto a fine gennaio. I giudici, invece, hanno confermato che se ne riparlerà il 24 gennaio, una data che, considerati i tempi a disposizione della Corte per decidere, potrebbe far slittare la possibilità di una legge pret à porter per andare a votare in tempi brevi.

Il bivio, che domani il segretario dem prospetterà, mette però in chiaro una cosa: il Pd non ha intenzione di sobbarcarsi da solo il peso di un governo. “Non possiamo farci rosolare: – è la tesi dei renziani – noi a governare per di più senza Renzi come premier e Grillo, Salvini e Toti che ogni giorno ci bersagliano accusandoci di stare attaccati alla sedia mentre il paese vuole andare alle elezioni. E se dovesse concretizzarsi un’ampia maggioranza torneremo in direzione a chidere l’ok di tutto il partito ad allearci con Verdini e Brlusconi”.

Il precedente al quale il leader dem guarda come fumo negli occhi è il governo Monti dove il Pd rimase con il cerino in mano dopo che il Pdl si sfilò. “Con il risultato che poi Bersani andò alle elezioni e pagò il prezzo delle misure draconiane del governo tecnico”, ricordano i fedelissimi del premier. Se quindi non ci sarà un’assunzione di responsabilità da parte di tutti, la via maestra per Renzi restano le elezioni.

(di Cristina Ferrulli/ANSA)