Senato, il Governo pone la fiducia. Scatta la protesta

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Senato, il Governo pone la fiducia. Scatta la protesta
Senato, il Governo pone la fiducia. Scatta la protesta

ROMA. – Il Senato c’è. Resta in vita. E il governo, ancorché dimissionario, non può ignorarlo. Pertanto, la decisione di chiedere il voto di fiducia su un provvedimento cardine come quello della legge di bilancio è “un’offesa alla dignità del Parlamento che va respinta”. I senatori, forti del fatto che il 60% degli italiani abbia votato a favore del bicameralismo perfetto dicendo No alla riforma Renzi-Boschi, fanno arrivare forte e chiaro il loro messaggio: noi ci siamo e vogliamo poter incidere sul processo legislativo.

L’alzata di scudi avviene in Aula subito dopo l’apertura della sessione di bilancio da parte del presidente Pietro Grasso. Durante la seduta viene annunciata l’intenzione del governo di chiedere la fiducia per arrivare al voto entro “domani pomeriggio”, cioè prima della Direzione Pd. Lasciando alla Camera Alta meno di 24 ore per esaminare il ddl. E subito si alza la protesta.

“Il Senato è ancora in vita, grazie al voto di milioni di italiani – afferma la presidente del Misto Loredana De Petris – e quindi è assurdo che il governo dimissionario azzardi un ennesimo strappo chiedendo il voto di fiducia”. La proposta di tutte le opposizioni e del gruppo di Verdini di cambiare il calendario “sprint” dei lavori stabilito dalla Conferenza dei capigruppo viene respinta. Ma l’atmosfera resta tesa e non ci sono grandi certezze su cosa potrebbe accadere domani al momento del voto di fiducia.

Il senatore Ncd Roberto Formigoni è uno dei pochi che esce allo scoperto per annunciare la sua intenzione di non votare la fiducia. “Al Senato – dichiara – deve essere riconosciuta la dignità di esaminare un ddl come la legge di bilancio. Del resto si chiede solo una settimana di tempo. Non mi sembra una richiesta folle visto che l’eventuale esercizio provvisorio scatterebbe solo dal 31/12. Ci sarebbe tutto il tempo per far bene le cose. Non si capisce il perché di questo ennesimo strappo”.

E a pensarla come lui, secondo quanto si apprende, sarebbero diversi senatori tra cui Maurizio Sacconi, Giuseppe Esposito, Pippo Pagano, Salvatore Torrisi. Senza contare alcuni di quelli dell’Udc che hanno abbandonato in queste ore il gruppo di Alfano (Ncd) sciogliendo di fatto la componente di Ap.

Un drappello non meno numeroso di senatori si starebbe facendo allettare dall’idea di votare addirittura contro il governo per scongiurare al massimo l’ipotesi di elezioni anticipate ventilate da Renzi e Alfano: eventualità considerata una sorta sciagura, non solo per ragioni politiche “tutte valide” (“consegneremo il Paese al M5S” ecc.), ma anche perché il vitalizio per tutti i parlamentari alla prima legislatura, molti dei quali senza speranza di venire ricandidati, scatta dopo 4 anni 6 mesi e un giorno e cioè il prossimo settembre.

Un governo che si potrebbe formare per andare all’esercizio provvisorio, è il ragionamento di alcuni, avrebbe più chance di arrivare a fine legislatura anche per via delle scadenze che l’Italia è chiamata ad affrontare a livello Ue. Ma in attesa di capire cosa succederà davvero domani, il “Senato pride” è realmente “bipartisan”.

“Il Senato c’è e non può liquidare in 15 ore il suo esame della manovra”, commenta Riccardo Mazzoni di Ala. “Siamo stati legittimati dal referendum”, ricorda Luigi Gaetti (M5S) e “il bicameralismo perfetto resta in piedi”. “Forse – è la provocazione che lancia Tito Di Maggio (Cor) – sarebbe il caso di mettere un’altra iscrizione alle spalle del Presidente in Aula: “Il 4 dicembre 2016, per suffragio di popolo e a presidio di pubbliche libertà, il Senato della Repubblica rimane”.

(Di Anna Laura Bussa/ANSA)

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