Parolin, la Santa Sede preoccupata ma Italia ce la può fare

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MILANO. – In questa fase delicata del Paese occorrono “un grande senso di responsabilità” e “la ricerca dell’unità pur nelle diversità per costruire il bene comune”. Così il Segretario di Stato vaticano, il card. Pietro Parolin, stasera ha commentato la nuova situazione politica dopo il referendum. La Santa Sede guarda alle vicende italiane “con preoccupazione ma anche con la certezza che l’Italia ha le risorse umane, spirituali, culturali per affrontare questa nuova fase e trovare soluzioni”, ha detto il card. Parolin.

“Tutti di fronte a questa nuova fase – ha sottolineato il Segretario di Stato vaticano – dobbiamo avere un grande senso di responsabilità, e lo devono avere soprattutto le forze politiche, e poi occorre cercare l’unità pur nelle diversità delle posizioni, con la volontà di costruire il bene comune”.

Parolin lancia un appello affinché ci sia “attenzione ai problemi della gente e ascolto per i cittadini. Credo che sia una delle cose che manca”, ha concluso.

Di referendum da Milano aveva parlato anche il cardinale Angelo Scola in quello che sarà probabilmente il suo ultimo discorso alla città, l’omelia che gli arcivescovi di Milano fanno alla vigilia della festa del patrono, Sant’Ambrogio. E a pochi giorni della vittoria del no al referendum costituzionale ha spiegato che il risultato “è anche, nello stesso tempo, conseguenza e provocazione della situazione europea”. Certo, si tratta di una questione che coinvolge tutti ma soprattutto “chi è impegnato nella difficile arte della politica”.

E a loro ha citato la definizione di buon politico data da Platone: “il politico è chiamato a comporre pareri opposti e opinioni diverse soprattutto in momenti di alta conflittualità sociale. E per questo gli serve un responsabile coinvolgimento in prima persona, il coraggio dell’impopolarità e la retta moderazione”.

Scola ha ammesso che adesso l’Europa si trova a dover affrontare emergenze per cui “non sembra avere sufficiente pensiero né forza politica”. Un esempio è la “politica internazionale europea” sui migranti che l’arcivescovo considera “largamente miope e deficitaria” e che penalizza “altamente l’Italia”.

“L’incapacità di pensare anzitutto in termini di accoglienza, insieme alla spinta nella direzione di una Realpolitik che vorrebbe legittimare il diritto di escludere – ha osservato il cardinale -, sono sintomi di un fallimento e di un declino complessivo dell’Europa come protagonista di fronte a una marea umana di sofferenza”.

Però “nessuno Stato” da solo, ha ammonito, è in grado di affrontare crisi come quella dei migranti, il terrorismo, la crisi finanziaria e quella politica. Il sunto è che: “l’Europa non è un’opzione, ma una vera e propria necessità”. Da qui la domanda – dopo eventi come “la Brexit” e “il diffondersi di populismi nazionali” – su che “Europa vogliamo”.

“Non un superstato né una raffinata tecnocrazia” ha osservato Scola, ma “una convivenza delle diversità, capace di farle collaborare e di integrarle nell’orizzonte di senso proprio un umanesimo personalista”. Certo non si tratta di trovare “facili accomodamenti” ma di fare in modo che il “bene sociale pratico primario del vivere insieme” sia riconosciuto “bene politico di tutti”.

Infine è arrivato anche un appello dal segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino: “Chiedo che un po’ tutti sotterrino l’ascia di guerra fatta di parole pesanti, fatta anche di espressioni tante volte al limite della volgarità”. “In questa maniera – ha aggiunto – non si va da nessuna parte, non si contribuisce a costruire il bene comune e non si crea un clima nel quale la democrazia possa essere vissuta come alternanza anche nel governo e nell’amministrazione”.

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