Renzi si dimette, voto o governo di tutti. Aperta la crisi

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Italian Prime Minister and Secretary of the Democratic Party (Partito Democratico / PD), 29 October 2016. ANSA/PALAZZO CHIGI PRESS OFFICE-TIBERIO BARCHIELLI
Italian Prime Minister and Secretary of the Democratic Party (Partito Democratico / PD),
29 October 2016.
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ROMA. – Matteo Renzi si è dimesso. Dopo la messa in sicurezza dei conti pubblici con un’approvazione lampo della manovra, il presidente del Consiglio alle 19 è tornato al Quirinale per formalizzare il passo indietro annunciato domenica notte, mentre le urne sancivano una netta vittoria del No al referendum. Si apre così la crisi di governo.

Domani pomeriggio il presidente della Repubblica Sergio Mattarella avvierà le consultazioni con le alte cariche dello Stato e i gruppi parlamentari. A loro Renzi passa la palla: “Non decido io, i partiti – tutti i partiti – devono assumersi le loro responsabilità”.

Ma il premier dimissionario indica due vie: elezioni subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum, attesa il 24 gennaio, o un governo di responsabilità nazionale con una maggioranza larga, fino alla fine della legislatura.

La giornata si apre con l’atteso voto sulla legge di bilancio del Senato. La fiducia passa con 173 sì e 108 no, al voto finale i sì sono 166: una dimostrazione, sottolinea la sinistra Pd, del fatto che esiste ancora una maggioranza politica in grado di sostenere un governo. Ma Renzi, che aveva accolto l’invito di Mattarella a garantire il via libera al testo, conferma le sue dimissioni.

“Alle 19 le dimissioni formali”, annuncia come suo stile sui social network, rivendicando una “ottima” manovra e l’orgoglio per “mille giorni straordinari” di governo. Poco prima di riunire la direzione del Pd, è in una Enews, la newsletter cui affida un costante dialogo con i suoi elettori, che il premier tratteggia le sue intenzioni.

“Stiamo facendo gli scatoloni. Sono pronto a passare la campanella di Palazzo Chigi con un abbraccio al mio successore”, racconta. Ma aggiunge che non ha intenzione di “disperdere la fiducia” espressa da “milioni di elettori” con il Sì al referendum: “E’ già tempo di rimettersi in cammino”, annuncia confermando di voler restare in campo.

Secondo un sondaggio di Piepoli al 57% degli elettori di centrosinistra piacerebbe un “partito di Renzi”. Ma in queste ore “c’è un boom di iscrizioni” al Pd, racconta il segretario al ‘parlamentino’ Dem riunito al Nazareno, che lo accoglie con un lungo applauso (c’è Bersani, ma non D’Alema).

La tensione nel partito è alta ma Renzi, che riserva una battuta amara a chi ha festeggiato il No, rinvia a dopo il “duro confronto” interno e anche scenari come un soggetto a sinistra evocato da Pisapia. Prima c’è da affrontare la crisi di governo. Che si apre verso le 20, quando il Quirinale dà notizia che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha accettato con riserva le dimissioni del premier, chiedendogli di restare per gli affari correnti.

Da questo momento la partita è nelle mani del capo dello Stato. Che domani alle 18, con i presidenti delle Camere e l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, aprirà le consultazioni, che si chiuderanno sabato con il Pd. Nella delegazione Dem (Guerini, Rosato, Zanda, Orfini) non ci sarà Renzi, ma il premier prima di dimettersi lascia nero su bianco la sua proposta: o si forma un governo con largo sostegno che arrivi a fine legislatura (“Vedremo cosa pensano anche i partiti del No, non solo quelli dell’attuale maggioranza”) o si va a votare con l’Italicum così come sarà modificato dalla Consulta.

Un’ipotesi, quest’ultima, che non coincide con l’indicazione del presidente Mattarella che ritiene “inconcepibile” andare al voto con due leggi non omogenee. Un’ipotesi bocciata come “incomprensibile” anche dall’ex presidente Giorgio Napolitano, che nel pomeriggio ha una conversazione con Renzi al telefono.

“Elezioni subito o il 17-18 dicembre scendiamo in piazza”, proclama intanto Matteo Salvini. E anche i Cinque stelle (in delegazione al Quirinale non ci sarà Beppe Grillo), paventando un accordo degli altri per fare una legge elettorale “contro” di loro, confermano la richiesta di voto anticipato con l’Italicum, dopo aver modificato la legge elettorale per il Senato.

Silvio Berlusconi tiene Fi su una linea di responsabilità, con la disponibilità a sedersi a un tavolo per le riforme, ma non va per ora a ‘vedere’ le carte della proposta di Renzi e si affida al ruolo di garanzia di Mattarella. Dal Pd la minoranza – ma non solo – invoca un governo che intervenga sull’Italicum e sulle priorità economico-sociali (dalle banche, che impensieriscono i mercati e l’Ue, al lavoro e alla scuola).

Ma Renzi in direzione afferma: “Anche altri devono caricarsi il peso” di un governo, il Pd “ha già pagato il prezzo di averlo fatto da solo”.

(di Serenella Mattera/ANSA)