Brexit: banche Gb in pressing, cinque anni di transizione

Un funzionario ammaina la bandiera inglese al Parlamento Ue. Brexit
Un funzionario ammaina la bandiera inglese al Parlamento Ue.

LONDRA. – Cinque anni senza Brexit, dopo la Brexit. Le grandi banche d’affari che prosperano nella City si aggrappano al progetto di una deroga, su misura per loro, per un’uscita graduale e differita dall’Ue: un accordo di transizione – immaginano in un documento visionato da Reuters – per evitare un contraccolpo troppo brusco sul ruolo dominante di Londra quale hub globale del business.

L’obiettivo è salvaguardare, almeno per un po’, il prezioso passaporto finanziario che consente di operare sul mercato europeo. Ma dal governo britannico le risposte sono oscillanti: o addirittura gelide, a prendere per buone quelle fornite in sede riservata il 15 novembre dal ministro della Brexit, il veterano euroscettico David Davis, secondo cui il congelamento è fuori discussione.

Gli istituti, in ogni caso, provano a fare pressing sul gabinetto conservatore di Theresa May. L’idea è che tutto possa restare fermo per un lustro, incluso il ruolo della Corte di Giustizia europea, anche quando il divorzio da Bruxelles (il cui iter la premier intende avviare al più tardi entro fine marzo) verrà formalizzato.

Il documento, redatto da agguerriti studi legali, presuppone di fatto uno sganciamento più che soft, a tappe rallentate. A quanto risulta, è stato già condiviso con il ministero del Tesoro, alla cui guida c’è il cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, considerato il capofila delle ‘colombe’ nell’esecutivo. Hammond, d’altronde, s’è ben guardato finora dal commentare.

Mentre a parlare, in un turbinio di messaggi contrastanti, resta il loquace collega Davis. Nei giorni scorsi era stato proprio lui ad aprire in parlamento all’ipotesi di un pagamento ‘a la carte’ di contribuiti all’Ue per garantire qualche forma d’accesso al mercato unico, ad alcuni settori dell’economia del Paese.

Ma in una conversazione più privata – fatta filtrare a scoppio ritardato dal Financial Times e che, chissà, rappresenta forse il suo punto di vista più genuino – si è detto seccamente “non interessato” a un accordo transitorio. Chiudendo ogni spiraglio non solo al bonus di 5 anni invocato dalle banche d’affari, ma pure alla soluzione provvisoria di ‘appena’ un biennio auspicata dal governatore della Bank of England in persona, Mark Carney.

Fonti diplomatiche occidentali osservano frattanto che “un congelamento” dello status quo potrebbe essere in effetti accettato dai partner europei a chiusura di un negoziato che fissasse i termini dell’uscita della Gran Bretagna rinviandone tuttavia l’attuazione a successive intese più dettagliate sul piano commerciale.

Ma Davis sembra far spallucce e nella conversazione svelata dal Ft si spinge a dire che, al limite, se ne potrebbe parlare se fosse Bruxelles a chiederlo. Quasi come un favore. Mentre rivendica ancora una volta la volontà di “riprendere il controllo” delle frontiere britanniche e attacca “la posizione inflessibile” dell’Ue sulla libera circolazione delle persone.

Poi, come se non bastasse, adombra una minaccia di guerra fiscale all’Europa (e alla Francia, che corteggia da mesi varie multinazionali per provare a indurle a traslocare da Londra a Parigi) avvertendo che il Regno è pronto, se costretto, a offrire tasse ancor più basse e “altri forti incentivi al business”. McDonald’s, in arrivo sull’isola da Lussemburgo per sfuggire ai controlli comunitari con il suo intero quartier generale extra-Usa, pare già un primo esempio.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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