Mattarella alla sua prima crisi di Governo, tempi record e idee chiare

Il presidente Mattarella con Paolo Gentiloni.
Il presidente Matasella con Paolo Gentiloni.

ROMA. – Tempi record per l’incarico, idee chiare e percorso lineare. Sergio Mattarella ha chiuso la sua prima crisi di Governo tenendo la barra dritta sin dalla notte del referendum quando Matteo Renzi gli annunciò e poi si affrettò a comunicare le sue dimissioni in televisione. Dimissioni che per il leader Pd sono un atto di “dignità e coerenza”, ma basate su una sconfitta politica e non parlamentare, mentre alle Camere si confermava una maggioranza solida. E da questo dato è partito il cammino del capo dello Stato che ha subito cercato di mettere in sicurezza la legge di stabilità “congelando” le dimissioni di Renzi per far approvare – seppur con la fiducia al Senato – la manovra.

Anche per questo il capo dello Stato alla fine delle consultazioni non ha nascosto di essere molto soddisfatto del comportamento responsabile del Pd e in particolare di Matteo Renzi con cui ha avuto contatti strettissimi. Fino alla telefonata con la quale l’ormai ex premier gli confermava il “niet” definitivo all’ipotesi di un reincarico.

Nessuna sorpresa al Quirinale. Renzi infatti è sempre stato convinto della necessità di uscire dalla scena governativa ma le pressioni interne ai Dem sono state forti ed anche il Quirinale, che guardava alla stabilità politica, ha sempre considerato l’idea del reincarico come la più razionale.

Il primo giorno delle consultazioni c’è stata “maretta”: le voci dentro il Pd che indicavano Franceschini come attivissimo nell’esplorare la possibilità di “larghe intese” – e per di più, secondo boatos incontrollabili, con la sponda di Mattarella – che hanno fatto salire la temperatura. Poche ore e la situazione si è chiarita: lo stesso Mattarella è intervenuto a spegnere l’incendio confermando che praticamente tutte le forze politiche erano contrarie a un Governo di responsabilità nazionale. Piccoli veleni che non sono piaciuti neanche al Colle dove, a fine percorso, si sottolinea come “il tempo sia galantuomo”.

Il nome di Pier Carlo Padoan è stato effettivamente evocato con forza. Ma solo all’inizio della crisi quando non era chiaro chi avesse dovuto prendersi la responsabilità dell’approvazione definitiva della manovra. In quel caso sarebbe davvero servita la figura del ministro dell’Economia.

Ma dalla Fiducia in poi il nome di Gentiloni non è mai stato in discussione. Il quadro ha iniziato così a prendere corpo su due paradigmi: riforma della legge elettorale e governo nella pienezza dei poteri. Fino alle poche, meditate parole di Mattarella che hanno aggiunto un paletto supplementare.

Non basta un ritocchino all’Italicum e tantomeno scorciatoie creative: è “impensabile” non fare una legge seria che renda omogenei i sistemi di Camera e Senato, ha chiarito il presidente. Quindi un lavoro serio e non frettoloso per il quale il Governo Gentiloni avrà solo un compito “facilitatore” e di controllo dei tempi. Niente più fiducie, in sostanza. Il metodo che ha portato all’Italicum non può essere riusato, almeno non in dosi massicce.

Parole, quelle di Mattarella, che sgretolano il macigno politico della sentenza della Consulta e depotenziano la data del 24 gennaio. Niente vieta infatti che si possa partire da subito ad una riforma visto che si sta cercando una legge completamente nuova.

E quindi in pochi giorni si avrà un Governo nella “pienezza” dei poteri che possa da subito presentarsi sulla scena estera con quel livello di caratura internazionale che il Colle ha richiesto. Sarà quindi Gentiloni – a meno di clamorosi colpi di scena – a rappresentare l’Italia al prossimo Consiglio europeo di giovedì 15 dicembre. Un volto familiare a Bruxelles, così come quello di Padoan nel mondo dell’economia che conta.

(Di Fabrizio Finzi e Serenella Mattera/ANSA)

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