Silicon Valley alla corte di Trump, prove di intesa

Apple CEO Tim Cook (D) e Peter Thiel (S), con Donald Trump (AP Photo/Evan Vucci)
Apple CEO Tim Cook (D) e Peter Thiel (S), con Donald Trump
(AP Photo/Evan Vucci)

NEW YORK. – Prove di intesa tra la Silicon Valley e Donald Trump dopo le tensioni della campagna elettorale. Nel giorno dell’attesissima decisione della Fed si tenta di trovare un terreno comune per promuovere crescita e occupazione. E si prova a ricucire dopo gli screzi del tycoon con la Apple, accusata di realizzare i suoi prodotti in Cina, o con Faceboook, il cui guru Marck Zuckerberg ha guidato la rivolta degli imprenditori contro la politica del muro sull’immigrazione. Per non parlare del numero uno di Amazon Jeff Bezos, proprietario di quel Washington Post che con lo scoop del video sessista stava per stroncare la corsa alla Casa Bianca del candidato repubblicano.

Alla Trump Tower si sono presentati quasi tutti i leader dell’hi-tech made in Usa: non solo Cook e Bezos, ma anche Sheryl Sandberg di Facebook (al posto di Zuckerberg), Larry Page di Google, Satya Nadella di Microsoft, Ginni Rometty di Ibm, oltre ai massimi vertici di Intel, Cisco, Oracle, Tesla e Uber.

Assente invece il numero uno di Twitter Jack Dorsey. Un’assenza questa che ha creato un piccolo giallo, visto che Dorsey non sarebbe stato inserito nella lista degli invitati dal tycoon, che per il suo uso sfrenato di Twitter è stato ribattezzato ‘Tweeter in Chief’.

L’appuntamento è stato fissato in contemporanea con l’annuncio sui tassi, in rialzo per la prima volta da anni. Quale occasione migliore per discutere di prospettive dell’economia e del mercato del lavoro, con le imprese più innovative d’America che non hanno nascosto la preoccupazione per il cambio di amministrazione.

E sì, perché con Barack Obama la Silicon Valley ha compiuto un balzo in avanti enorme, con un record sul fronte della crescita e dei profitti da far impallidire anche la vecchia Wall Street delle banche e di Big Corporate. Con Apple, Google e Amazon regine nella classifica delle società più ricche al mondo.

Ora Trump è visto come una minaccia a tutto questo, un freno a questa corsa senza freni degli ultimi otto anni. Una corsa favorita da regole e leggi federali (vedi la neutralità di internet) e da un antitrust che ha avuto un atteggiamento più che benevolo verso i giganti hi-tech e le tante start up fiorite ovunque sulla West Coast. Per non parlare della propensione al libero commercio, quel libero scambio messo adesso in forte discussione da Trump.

E poi c’è il nodo dell’immigrazione, linfa vitale per lo sviluppo della Silicon Valley e nemico numero uno – almeno a parole – della nuova amministrazione. Ma tra le fila di quest’ultima potrebbe esserci un forte alleato dei big dell’hi-tech: quel Peter Thiel – cofondatore di PayPal e uno dei primi investitori che ha creduto in Facebook – appoggiando Trump fin dal primo minuto, distinguendosi dalla maggior parte dei suoi ‘colleghi’.

Sarà probabilmente lui – entrato nello staff del presidente eletto – il grande mediatore. Intanto l’ex governatore del Texas Rick Perry è stato nominato ministro dell’energia (il dipartimento che da candidato presidenziale nel 2012 voleva ‘rottamare’), mentre per gli interni la scelta è ricaduta su un ex Navy Seal, Ryan Zinke.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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