Il Giappone diventa il primo creditore degli Usa, sfila lo scettro alla Cina

PECHINO. – La Cina riconsegna al Giappone i panni di primo creditore degli Stati Uniti, scontando l’ingente spesa sostenuta con le riserve valutarie a difesa dello yuan. I Treasuries nel portafoglio di Pechino sono scesi a ottobre di 41,3 miliardi di dollari, a 1.120 miliardi, in calo per il sesto mese di fila, secondo i dati diffusi dal Tesoro americano. Al contrario, la quota del Giappone si è contratta di appena 4,5 miliardi nello stesso mese, attestandosi a 1.130 miliardi.

“Da un lato sembrerebbe un punto di forza degli Usa che non dipendono più tanto dalla Cina, con la redistribuzione del loro debito su altri Paesi”, osserva Michele Geraci, professore di Finanza alla NYU Shanghai. “Oltre al discorso geopolico, è un po’ – aggiunge parlando con l’ANSA – la naturale conseguenza matematica della politica monetaria cinese e dell’utilizzo delle riserve in dollari per sostenere il renminbi. Vendita di dollari per l’acquisto di yuan. Non c’è una lettura machiavellica”.

Allo scopo di sostenere la propria valuta, Pechino ha usato 69,1 miliardi di dollari delle sue riserve a novembre, nel mezzo degli scossoni causati dall’inattesa vittoria di Donald Trump alle presidenziali Usa dell’8 novembre, con l’impennata del dollaro che ha aggiunto incertezze sulle economie emergenti.

I dati della scorsa settimana della State Administration of Foreign Exchange, hanno stimato le riserve cinesi in frenata a 3.050 miliardi, ai minimi da marzo 2011, ma la gran parte dello stock è costituito da Treasuries: nel complesso, invece, si sono ridotte di circa un quarto da inizio 2014, con lo yuan che si è deprezzato di oltre il 15%. Il taglio dei T-bond in portafoglio è parte delle misure di Pechino per frenare l’uscita di capitali.

Anche ieri lo yuan è andato sotto pressione per il secondo giorno di fila dopo le mosse della Federal Reserve: la Banca centrale cinese ha fissato la parità sul dollaro a 6,9508, in calo di 219 punti base e ai minimi degli ultimi 8 anni e mezzo.

Intanto, la chiusura della Central Economic Work Conference, l’appuntamento primario annuale a porte chiuse al quale prendono parte tra gli altri il presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang, ha tracciato gli obiettivi del 2017 in cui il principio guida è il “mantenimento della stabilità” nell’anno del rimpasto quinquennale della leadership per la celebrazione del congresso del Partito comunista, mentre Xi entrerà nel secondo mandato.

La politica monetaria resterà “prudente e neutrale”, ha recitato la nota finale, comprensiva dell’impegno ad accelerare la “supply-side reform” e della possibilità di uso della spesa pubblica come azione di crescita. Le politiche fiscali, invece, saranno “più proattive ed effettive”. La Cina s’avvia a chiudere il 2016 con un Pil atteso al 6,7%, nel range di governo di 6,5-7%, dopo un 2015 a +6,9% e al passo più lento degli ultimi 25 anni.

(di Antonio FatigusoANSA)

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