Renzi pensa alle primarie di coalizione e voto entro l’estate

Matteo Renzi (D) durante il suo intervento all'assemblea nazionale del Partito Democratico a Roma, 18 dicembre 2016. ANSA/MASSIMO PERCOSSI -------------------------------------------------------------------------------------------
Matteo Renzi (D) durante il suo intervento all’assemblea nazionale del Partito Democratico a Roma, 18 dicembre 2016.
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
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ROMA. – Primarie di coalizione e voto entro l’estate. E’ questo il percorso che ha in mente Matteo Renzi. Il premier, inaugurando la fase “zen” della inclusione, della segreteria “plurale”, accetta i consigli di chi lo invita a non andare al congresso subito, lanciando una “resa dei conti sulla pelle del Paese”. E formalmente non annuncia le primarie in vista di eventuali elezioni anticipate. Da segretario potrebbe non farle, è lui il candidato del partito.

Ma il percorso che ha in mente sarebbe proprio quello: un’investitura popolare della sua candidatura, con primarie di coalizione aperte alla sinistra dialogante che fa riferimento a Giuliano Pisapia. Congelare il congresso fino a fine 2017 non vuol dire congelare il voto, sottolineano i renziani dopo la relazione del premier in assemblea.

Gli scenari ipotizzati, “nel rispetto delle prerogative del presidente Mattarella”, sono due: fine della legislatura a marzo con voto ad aprile, in tempo utile perché il nuovo premier si presenti al G7, o fine legislatura ad aprile con voto a giugno.

A quel punto se sarà riuscito (ma ad oggi non in molti ci credono) il tentativo di ritorno al Mattarellum, Renzi si candiderà a guidare il centrosinistra nelle urne. Ma alle primarie sembra non voler rinunciare neanche se si andasse a votare con la legge elettorale di stampo proporzionale che potrebbe essere frutto della sentenza della Consulta: in quel caso ogni partito avrebbe interesse ad andare da solo, ma il leader Pd vorrebbe comunque i gazebo.

Intanto, per il partito Renzi ha immaginato una ‘cura’ che parte da un ‘mea culpa’ sulla segreteria: tornerà a riunirla mercoledì dopo diversi mesi e dovrebbe rafforzarla con nuovi ingressi e un rimescolamento di incarichi. Potrebbe offrire di entrare anche alla minoranza bersaniana, che non dice no a priori ma fa sapere che valuterà il progetto e le deleghe.

Ma il leader Dem guarda già oltre, al lavoro da “talent scout” che farà nel Paese alla ricerca di giovani che formino la nuova prima linea Pd e alla riorganizzazione della comunicazione del partito sul web. Nessun tour in camper per lui, ma un contatto più frequente con i circoli e in giro per l’Italia.

Nel Pd, intanto, le correnti che Renzi vorrebbe archiviare riaprono i giochi interni. Nella maggioranza i fedelissimi renziani mordono il freno, perché avrebbero voluto subito la resa dei conti interna (il “bazooka” evocato dopo le comunali), anche considerato che gli avversari interni non avrebbero avuto il tempo di organizzarsi. Mentre le aree che fanno capo a Dario Franceschini, Matteo Orfini e Maurizio Martina, tengono per ora, sia pure con sfumature e accenti diversi, la linea del segretario. Qualche franceschiniano, ad esempio, non è molto convinto dell’accelerazione dei tempi del voto.

Quanto alla minoranza, sono già in campo Roberto Speranza (sostenuto da Pier Luigi Bersani, che in assemblea si fa vedere per poco) ed Enrico Rossi. Ma potrebbe esserci anche Michele Emiliano (c’è chi ipotizza un ticket con Speranza, ma ancora il tema non sarebbe stato affrontato). Mentre Gianni Cuperlo tiene una linea distinta da quella dei bersaniani e una posizione a sé hanno anche gli ex civatiani di Rete Dem.

Tra i tanti contendenti, però, c’è chi non esclude che possa avanzare la candidatura di un nome ‘esterno’ alla minoranza, magari il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che in assemblea ha pronunciato un discorso molto critico sulla linea del partito e con una nota di disappunto anche sulla proposta del Mattarellum. Comunque sia, sono convinti nella minoranza, ora il partito è contendibile, Renzi non è forte come un tempo. La prova? La relazione del segretario ha avuto 481 sì, ma i delegati di minoranza sulla carta sono circa 300, quelli di maggioranza circa 900: “Non ha votato nemmeno la metà di loro”, nota un deputato.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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