Strage di Orlando, le famiglie delle vittime contro Fb e Twitter

NEW YORK. – Riesplode in America la polemica sui social media, le cui piattaforme diventano spesso terreno fertile per la propaganda jiahdista. Stavolta a puntare il dito su Facebook, Twitter e Google (proprietaria di YouTube) sono i familiari di alcune delle vittime della strage di Orlando, in Florida, che hanno deciso di passare alle vie legali. All’interno del nightclub Pulse lo scorso 12 giugno morirono 49 persone, in quella che è stata la più grave sparatoria della storia moderna negli Stati Uniti.

Il killer, Omar Mir Seddique Mateen, 29 anni, era un cittadino americano di origini afghane, nato nello stato di New York e radicalizzato su internet. Prima di essere ucciso dalla polizia disse che il suo gesto era per vendicare i raid aerei Usa in Iraq e in Siria. Omar, nelle concitate ore in cui le teste di cuoio negoziarono per limitare il bilancio del massacro, professò fedeltà all’Isis, ma non era un militante del gruppo terroristico. Aveva maturato il suo gesto folle indottrinato proprio sui social media.

E l’accusa mossa ora ai principali social media è quella di aver influenzato l’assassino e di aver fornito – si legge sulle carte della causa presentata presso una corte del Michigan – “supporto materiale” alla propaganda degli uomini dello stato islamico.

“Senza Facebook, Twitter e Google non sarebbe stata possibile negli ultimi anni la crescita esplosiva dell’Isis, divenuto il gruppo terroristico più temuto al mondo”, accusano i familiari delle vittime di Orlando, rappresentati dallo stesso avvocato di una delle vittime americane degli attentati di Parigi.

Per il legale “i social media sono il cuore della gran parte dell’attività terroristica e qualcosa deve essere fatto”. Non è possibile – aggiunge – che attraverso queste piattaforme i terroristi continuino a fare propaganda, a raccogliere fondi e ad attrarre nuove reclute.

Così l’azione legale presentata in Michigan potrebbe segnare una svolta. Finora infatti le corti americane sono state riluttanti nel ritenere i giganti del web responsabili per i contenuti postati sulle proprie piattaforme. Ma se questa causa senza precedenti dovesse avere successo – affermano gli esperti – potrebbe rivoluzionare il mondo dei social media.

Al centro della denuncia l’interpretazione di quanto previsto dal Communications Decency Act (CDA) del 1996, che finora è servito a proteggere i social media da eventuali responsabilità legate ai contenuti postati sulle loro piattaforme.

Ma alcuni avvocati e accademici hanno cominciato a sostenere che siti come Facebook potrebbero violare la normativa con i loro algoritmi segreti, che consentono di piazzare pubblicità legate alle informazioni degli utenti, condividendo con l’Isis gli introiti pubblicitari e quindi finanziandone l’attività.

Nessun commento ufficiale per ora da Facebook, Google e Twitter. Quest’ultima in particolare ha lavorato in tempi recenti per sospendere tutti gli account sospettati di essere affiliati o di sostenere l’Isis o altre formazioni terroristiche. Ma per molti questo sforzo non basta.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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