Trump attacca General Motors e Ford cancella la fabbrica in Messico

WASHINGTON. – General Motors, la più grande casa automobilistica americana, è uno dei bersagli più grossi, con tanto di perdite in Borsa, colpiti da Donald Trump dalla sua postazione di ‘commander in twitter’. Una vera e propria raffica di tweet che non hanno risparmiato la Corea del Nord e la Cina, l’Obamacare e Guantanamo, nonché i suoi stessi colleghi di partito, rei di voler sterilizzare nel primo giorno del nuovo Congresso dell’era Trump l’organismo della Camera che tiene sotto controllo le violazioni etiche commesse dai suoi membri.

Non un buon viatico per chi ha promesso di “prosciugare la palude” della corruzione. Tanto che il Gop si è poi trovato costretto a fare marcia indietro, rinunciando al progetto. “Generals Motors sta inviando un modello di Chevy Cruze, fatto in Messico, ai concessionari Usa esentasse. Faccia (le auto, ndr) negli Usa o paghi pesanti tasse doganali!”, ha cinguettato il tycoon proprio mentre Gm si accinge a cancellare un turno alla fabbrica di Lordstown, Ohio, sullo sfondo della diminuzione delle vendite della Cruze sedan: una mossa che costerebbe l’eliminazione di 1.200 posti di lavoro a partire da questo mese.

General Motors si è limitata a precisare che in Messico fabbrica solo la versione ‘hatchback’ della Cruze “per i mercati globali, con un piccolo numero venduto in Usa”. Ma intanto Trump l’ha avvisata, come aveva già fatto con la Ford, che proprio oggi ha annunciato a sorpresa la cancellazione di un investimento di 1,6 miliardi per costruire una nuova fabbrica in Messico e lo stanziamento di 700 milioni di dollari per espandere lo stabilimento di Flat Rock, in Michigan, per costruire auto elettriche.

“Merito mio”, si è affrettato a dire, sempre su Twitter, il tycoon, promettendo che “l’America diventerà il più grande magnete al mondo per innovazione e creazione di lavoro”. Ma fonti della Ford hanno detto alla Nbc che Trump non ha nulla a che fare con questa decisione, legata a scelte di mercato. Lo stesso ceo Mark Fields ha precisato che il nuovo piano è in parte legato alla necessità di “utilizzare pienamente la capacità degli impianti esistenti” nell’ambito della strategia di vendita di auto piccole e medie, come Focus e Fusion. Ma Fields ha anche “incoraggiato le politiche pro crescita che il presidente eletto Donald Trump e il nuovo Congresso hanno indicato di voler perseguire”.

“Crediamo che queste riforme fiscali e regolatorie siano criticamente importanti per aumentare la competitività degli Usa e naturalmente portare a una ripresa nel manifatturiero americano e nell’innovazione high-tech”, ha spiegato, lasciando intendere che la scommessa dell’azienda è su una riduzione delle tasse. Insomma, una inversione di rotta, se fino ad un mese fa Fields insisteva che era troppo tardi per cambiare i piani della Ford in Messico.

Il magnate, che ha lanciato lo slogan protezionistico “comprare americano, assumere americano”, ha usato l’industria automobilistica come esempio degli effetti negativi dei grandi accordi commerciali, in questo caso il Nafta, e ha minacciato di imporre tariffe doganali penalizzanti per le aziende che delocalizzano e poi rivendono in Usa.

Recentemente il tycoon ha usato twitter anche per attaccare la Boeing per i costi esorbitanti del nuovo Air Force One e la Lockheed Martin per il programma astronomico degli F-35, strappando promesse per contenere i costi. Nella sua ultima raffica di cinquettii, Trump ha ammonito che la Corea del Nord non svilupperà mai un’arma nucleare capace di colpire gli Usa e ha criticato la Cina per non arginare il vicino. Poi ha mirato contro la chiusura di Guantanamo (“basta scarcerazioni”) e l’Obamacare che “non funziona ed è troppo caro”, smentendo così l’intenzione di salvare almeno in parte la riforma sanitaria.

Tra le vittime di questa presidenza via twitter anche i repubblicani: “Con tutto quello che il Congresso ha da fare, devono davvero indebolire l’ufficio etico indipendente come loro primo atto?”, ha criticato, invitandoli a concentrarsi sulla riforma fiscale, l’Obamacare e “molte altre cose di più grande importanza”.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)