A Wall Street record su record, ma “non è bolla”

ROMA. – Venerdì scorso si è fermato ad un passo: il Dow Jones, l’indice dei titoli industriali quotati a Wall Street si è spinto fino al massimo storico di 19.999,63 punti. Meno di 0,4 punti da quota 20.000, che non solo rappresenterebbe un nuovo picco massimo per la borsa statunitense ma anche una soglia psicologica di notevole importanza.

“I mercati si avvicinano alle pietre miliari a piccoli passi e con diversi tentativi”, spiegano gli analisti della Borsa a stelle e strisce, ma ormai il traguardo è prossimo. Un traguardo che non prelude alla nascita di una nuova bolla: “il mercato vive un paradosso, ma non una bolla”, parola di Jeremy Grantham dell’omonima casa di investimenti di Chicago, famoso per aver predetto la bolla tecnologica del 1999 e la crisi del credito del 2008.

“Sebbene i prezzi attuali siano al confine statistico di una bolla, nessuna delle condizioni economiche o psicologiche che la caratterizzano è presente”, spiega Grantham.

Quota 20.000 rappresenta l’ultima tappa di una corsa iniziata nella primavera del 2009: colpito duramente dall’esplosione della bolla subprime, che ha travolto la finanza statunitense, l’indice Dow Jones (e con lui tutti i listini newyorchesi) scende al minimo di 6.547 punti, addirittura inferiore a quello del marzo 2003, quando sull’onda lunga degli attentati alle Torri Gemelle calò fino a quota 7.436.

Da quel 9 marzo 2009 l’indice è ripartito: l’immensa iniezione di liquidità della Federal Reserve con i Quantitative Easing a ripetizione (l’attivo della banca centrale Usa ha superato i 3.000 miliardi di dollari) ha consentito all’indice di tornare sopra i livelli pre-crisi, ovvero quota 14.164, nel febbraio 2013 e poi continuare a salire in scia al miglioramento dell’economia statunitense.

E l’elezione di Donald Trump, che all’inizio sembrava rappresentare uno spauracchio per i mercati, ha finito invece per alimentare il motore della rincorsa ai 20.000 punti. Dal giorno del voto il dollaro, forte delle promesse elettorali, ha risalito la china sull’euro salendo ai massimi da 14 anni, portando con sé anche i rendimenti dei titoli governativi.

L’economia americana sembra quindi pronta ad una stretta monetaria (data per scontata dalle banche che nei pochi giorni del 2017 hanno già collocato sul mercato obbligazioni per 42 miliardi di dollari per prevenire i rialzi dei rendimenti), con i falchi timorosi che mantenere i tassi ancora sotto l’1% possa incentivare l’assunzione di rischi sui mercati innescando in effetti nuove bolle speculative.

“Il sistema finanziario statunitense ora è molto più forte di prima della crisi”, ha provato a rassicurare ieri il governatore della Fed, Jerome Powell, sottolineando però che “l’attuale lungo periodo di tassi nominali molto bassi richiede un elevato livello di vigilanza contro la creazione di rischi per la stabilità del sistema finanziario”. Imputato principale, il settore immobiliare commerciale.

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