Verso il tramonto del “madurismo”?

Tareck El Aissami, vicepresidente della Repubblica

CARACAS – Non un raggio di sole che squarci l’orizzonte, cupo di nuvole minacciose, ma un fulmine a ciel sereno presagio di tormenta. L’annuncio del presidente della Repubblica, Nicolás Maduro, ha colto tutti di sorpresa. E l’ha fatto non perché non si avesse coscienza della necessità di adeguare il salario minimo alla nuova realtà economica, frutto di una dinamica inflazionaria sempre più vicina all’iperinflazione, che provoca il deterioramento accelerato del potere d’acquisto del consumatore, ma perché si riteneva che tale decisione dovesse essere il corollario di una serie di provvedimenti orientati al riequilibrio delle variabili macroeconomiche. Non è stato così. Il presidente della Repubblica ha, di nuovo, rimandato ogni decisione riguardante la sfera economica.
Il governo del presidente Maduro, una volta ancora, non pare scommettere sulla ripresa dell’economia nazionale e sul rilancio dell’industria, ma sull’“economia di porto”. Ovvero, sulla ipotetica possibilità di una ripresa del mercato petrolifero – vedremo nei mesi prossimi se la tendenza sarà o no confermata dalla realtà e in quale misura – che permetterebbe l’importazione di beni essenziali da poter offrire ai consumatori, in particolare alle fasce più bisognose, a prezzi politici. In questa strategia, la sopravvivenza dell’industria privata e l’efficienza di quella pubblica assumono una rilevanza periferica. Poco importa se l’aumento dei salari e il controllo dei prezzi potrebbero, come lo dimostra l’esperienza degli ultimi 15 anni, rappresentare una miscela letale per la piccola e media industria e per l’economia nella sua globalità.

Sono sempre meno i prodotti nazionali presenti negli scaffali dei supermarket

Il “Made in Venezuela” e il “compra venezolano” non sono più di moda. Basta dare uno sguardo ai prodotti negli scaffali dei supermarket per rendersi conto di una realtà preoccupante. Mentre nel resto dell’America Latina si favoriscono i prodotti nazionali su quelli provenienti da altri paesi, in Venezuela oramai la produzione nazionale è stata sostituita da beni di consumo importati dall’Argentina, dalla Bolivia, dal Brasile, dal Cile, dalla Colombia, dall’Ecuador, dall’Iran e dall’Iraq; prodotti, a volte, di dubbia qualità.
Eppure, fino a una quindicina di anni fa, esisteva una fiorente industria locale capace di soddisfare, in gran parte, il fabbisogno nazionale e che si apprestava, in alcuni casi, a fare il gran salto verso l’esportazione. Tante industrie, in particolare quelle piccole e medie, erano proprietà di connazionali, frutto della caparbietà, del coraggio, della capacità imprenditoriale della nostra Collettività. Queste industrie – tante hanno chiuso definitivamente ed altre sussistono a dura pena alla crisi – sono state a lungo fonte di lavoro e di benessere.

Il capo dello Stato, Nicolás Maduro

Il presidente Maduro ha affermato che uno degli obiettivi del governo è abbattere la disoccupazione e portarla attorno al 4,5 per cento. Gli esperti in materia si chiedono come potrà raggiungere l’obiettivo dal momento che il nuovo aumento del salario minimo, senza provvedimenti di carattere economico, asfissierà le poche industrie che resistono alla crisi. La risposta non può che essere una: attraverso l’incremento della burocrazia nella Pubblica Amministrazione e nelle aziende statali. Ma un tale provvedimento sarebbe possibile solo attraverso “denaro inorganico”; cioè, attraverso l’emissione di monete e banconote non vincolate ad alcun bene reale. Le conseguenze sono facilmente immaginabili.
L’annuncio del presidente Maduro contrasta con le denunce delle organizzazioni sindacali. Ed infatti dal 30 dicembre, stando a Marcella Máspero, coordinatrice di Unete, sarebbero già stati licenziati oltre 10mila impiegati nella pubblica Amministrazione e aziende dello Stato. Se dovesse essere vero quanto denunciato da Máspero, allora anche l’impiego statale sarebbe ormai arrivato al capolinea.
La burocrazia, negli ultimi 20 anni, è cresciuta in maniera preoccupante. Alcuni economisti, in passato, avevano già considerato inevitabile il fenomeno. I governi dell’estinto presidente Chávez e quello dell’attuale capo di Stato, Nicolás Maduro, avevano trasformato la Pubblica Amministrazione in una macchina capace di risucchiare la disoccupazione provocata dai provvedimenti economici che hanno messo in crisi tutta l’imprenditorialità privata. Ma, si sa, tutto ha un limite. Come mai in passato, negli ultimi 20 anni lo “Stato paternalista” ha assunto un ruolo decisivo nell’economia; un ruolo che oggi non pare più sostenibile. Così, stando alle organizzazioni sindacali, i ministeri e le aziende pubbliche avrebbero cominciato a ridurre il numero degli impiegati.
Marcella Máspero, coordinatrice di Unete, ha commentato che per il momento l’ondata di licenziamenti ha interessato “Bolivariana de Puertos”, il Ministero dell’Agricoltura, l’Aeroporto di Maiquetía e il Seniat.
L’incremento del salario minimo fa seguito alla designazione di Tareck El Aissami alla vicepresidenza della Repubblica. L’ex governatore dello Stato Aragua, considerato un influente esponente dell’ala più radicale del “chavismo”, sostituisce il professore Aristóbulo Istúriz, politico navigato e più proclive al dialogo con l’Opposizione.
La designazione di Tareck El Aissami è considerata da politologi ed esperti in materia la rottura dell’equilibrio tra le maggiori correnti interne nel chavismo: quella capeggiata dal presidente Maduro e quella, invece, guidata da Diosdado Cabello. L’elezione di El Aissami, di fatto, potrebbe rappresentare il tramonto di Nicolás Maduro e del “madurismo” e l’inizio di una nuova tappa politica nel Paese.
C’è anche chi interpreta la designazione di El Aissami come l’anticamera alle dimissioni di Nicolás Maduro. Ciò permetterebbe al “chavismo” di chiudere una pagina di storia, considerata dallo stesso Psuv e dal “chavismo” tutta da dimenticare, per aprirne un’altra dal futuro incerto. Tareck El Aissami si presenterebbe come un esponente giovane, anche se con un passato controverso; un volto relativamente nuovo, anche se è già stato deputato e ministro degli Interni; un candidato, nel caso fossero rispettati i tempi previsti dalla Costituzione, per le presidenziali del 2018.
Intanto, dopo la pausa di un magro Natale i venezuelani si ritrovano in un paese in cui a crescere sono solo l’inflazione, la povertà, l’assenza di alimenti e medicine e, dulcis in fundo, la delinquenza.
L’insicurezza continua ad essere uno dei maggiori malanni del Paese. Il Venezuela continua ad essere uno dei Paesi più pericolosi e violenti al mondo. Nel 2016, stando all’Ong “Observatorio Venezolano de la Violencia”, sono state assassinate 28.479 persone. Una cifra, questa, superiore alle 27.875 vittime registrate lo scorso anno. Un tasso di 98,1 morti ogni 100 mila abitanti.
Le cifre dell’Ong smentiscono quelle emanate dalla Procuratrice Generale della Repubblica, Luisa Ortega Díaz, secondo la quale in Venezuela si registravano, fino a febbraio del 2016, 58,1 morti violente ogni 100 mila abitanti.
Oggi, stando all’Ong, Caracas è 14 volte più violenta di Sao Paulo, 10 volte più di Bogotá e 15 volte più di Città del Messico. I paragoni sono sempre antipatici ma, purtroppo, a volte necessari per illustrare meglio la realtà.
Mauro Bafile

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