Politici spiati: i due fratelli arrestati si difendono e contrattaccano

I fratelli Occhionero
I fratelli Occhionero

ROMA. – Si difendono e contrattaccano. Respingono le accuse e capovolgono il quadro accusatorio sostenendo che i centinaia di indirizzi mail, i 18 mila nickname e le centinaia di password trovati sul pc “potrebbero esserci finiti li per colpa di un malware” forse spedito, si spinge a dire Giulio Occhioneri, “proprio da chi ha fatto le indagini”.

Lui e la sorella Francesca Maria, accusati dalla procura di Roma di cyberspionaggio, hanno deciso di rispondere alle domande del gip ritagliandosi il ruolo di vittime. “Io non so usare il computer, non sono ricca, ho una 500 usata e da due anni cerco lavoro”, ha detto nel corso dell’atto istruttorio la sorella maggiore dell’ingegnere nucleare, che gli fa eco: “quella roba che avete trovato non è mia”.

Giulio però è apparso lucido nella sua strategia difensiva e, quando le domande del gip Maria Paola Tomaselli e del pm Eugenio Albamonte si sono fatte stringenti, ha tagliato corto: “Non vi darò le password di accesso al server Usa, voglio rispettare la mia privacy, la soluzione dovete trovarla voi”. Una elemento, comunque, accumuna i due interrogatori. I due negano di aver “mai rubato dati né svolto attività di spionaggio: gli indirizzi mail sono pubblici e alla portata di tutti e non c’è alcuna prova di sottrazione di dati da parte nostra”.

L’ingegnere ha anche negato di avere chiesto ad un agente di polizia di informarsi se fosse stata avviata una indagine sul suo conto. Una circostanza che i pm vogliono comunque approfondire visto che hanno iscritto il poliziotto nel registro degli indagati con l’accusa di favoreggiamento.

Una sorta di muro difensivo, soprattutto da parte di Giulio, che però non sembra rallentare l’attività di indagine degli inquirenti. Lo snodo è rappresentato dalla rogatoria che il pm ha inviato negli Stati Uniti e che nelle prossime settimane potrebbe portare a risposte certe sulla enorme quantità di dati sensibili che negli ultimi 6 anni sono stati “acquisiti” e depositati nei server riconducibili ai due.

Intanto, chi indaga afferma che nei confronti degli ex presidenti del Consiglio Matteo Renzi e Mario Monti, nonché del presidente della Bce Mario Draghi c’è stato solo un tentativo, ma non l’accesso, alle caselle di posta elettronica. Di conseguenza, secondo quanto si è appreso, non sono stati “infettati” i telefoni cellulari dei tre soggetti in questione.

Alcune istituzioni hanno alzato il livello di controllo. Il Campidoglio fa sapere di monitorare attentamente il suo sito istituzionale, segnalato tra quelli attenzionati dagli hacker, mentre la dirigente della Regione Lazio il cui computer sarebbe stato ‘infettato’, fa parte dell’avvocatura e si occupa di contenzioso, prevalentemente di questioni immobiliari e del patrimonio, come per esempio quelle legate alle Ater.

Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, i file rubati dai pc e dagli account di posta venivano suddivisi in due categorie: quelli di grandi dimensioni, che venivano spediti utilizzando account di cloud storage, e quelli di piccole dimensioni, che invece venivano trasmessi al server in allegato a messaggi mail utilizzando account di posta elettronica con il dominio @gmx.com.

E secondo il Gip sono stati identificati “numerosi collegamenti” effettuati da Giulio Occhionero verso il server di posta del dominio gmx.com. Inoltre, i contenuti delle caselle mail @gmx.com venivano a loro volta reinoltrati verso un account del dominio hostpenta.com. Un dominio collegato ad altri, tutti registrati utilizzando la stessa società americana (Network Solutions) e risultati essere riconducibili a Giulio Occhionero o a società a lui collegate.

Sul fronte dell’attività istruttoria, il pm vuole accertare se gli Occhionero possano aver avuto legami, con esponenti del presunto comitato d’affari clandestino denominato P4. Le indagini, come emerso dall’ordinanza di custodia cautelare, hanno accertato che, almeno in una versione del virus usato, i dati carpiti dai computer ‘infettati’ venivano inviati a quattro indirizzi mail che “risultavano essere già emersi nel luglio 2011 nel corso del procedimento della cosiddetta P4”.

(di Marco Maffettone/ANSA)

Lascia un commento